E’ in atto un dibattito nazionale relativamente all’ultimo DPCM varato dal Governo che ha diviso l’Italia in zone rosse, arancioni e gialle, a seconda del potenziale indice di infettività Rt e conseguente grande protesta di alcuni Governatori per la recessione economica che tale misura andrebbe a comportare soprattutto in quelle regioni con più alto indice di limitazione della mobilità.
Senza entrare nel merito è indubbio che, in questa seconda ondata peraltro ampiamente prevista, ci sia stato un ritardo da parte delle Istituzioni preposte soprattutto nel campo della Sanità riguardo alle assunzioni di personale medico e paramedico, al non ampliamento del numero dei posti letto negli ospedali così come la non apertura di nuove sale di terapia intensiva e semintensiva. E’ del tutto evidente che se si potesse applicare il metodo cinese con restrizione coatta della libertà, l’evoluzione infettiva della malattia sarebbe sicuramente debellata in un tempo più o meno breve.
Ma in uno Stato di democrazia, tre sono sostanzialmente le questioni che andrebbero affrontate in un giusto equilibrio: la salute, l’economia e la libertà dei cittadini; tre problematiche apparentemente diverse ma certamente interdipendenti e che necessariamente devono trovare punti di contatto per non creare evidenti divari. Va da sé infatti che se la salute viene garantita, automaticamente ne risente positivamente l’economia e conseguentemente viene salvaguardata la libertà dei cittadini. Il punto di domanda allora è cosa si può o si potrebbe fare per cercare di conseguire questo risultato?
Il tema principale ovvero quello della salute va affrontato con quelle che sono allo stato attuale le risorse disponibili e senza false illusioni, ma in che modo? Certamente rafforzando la medicina del territorio attraverso i medici di famiglia, con diagnosi e, ove possibile, terapia domiciliare; in tal modo si assisterebbe indubbiamente a una diminuzione degli accessi ai PS e conseguentemente una riduzione dell’ospedalizzazione dei pazienti.
La questione della diagnostica Covid–19 da eseguire negli studi medici è stata proposta ma non sottoscritta da tutte le sigle sindacali, con motivazioni innegabilmente reali e quindi accoglibili. La diagnosi, quando possibile, certamente deve essere effettuata dai MMG (medici di medicina generale) ma secondo un approccio diverso da quello proposto, attraverso un’accurata selezione clinica di possibili malati in base alla sintomatologia oramai acclarata e prevalente: anosmia (perdita del senso dell’olfatto), disgeusia (alterazione del senso del gusto), tosse, febbre, artralgia.
Sulla base clinica di sospetto di malattia l’iter diagnostico dovrebbe prevedere l’esecuzione, a casa del paziente e non negli ambulatori e con tutti i DPI (dispositivi di protezione individuale) necessari, di Test sierologici rapidi che, se positivi, necessiterebbero poi di ulteriore conferma diagnostica con tampone molecolare in sede di laboratorio.
In caso di positività del tampone occorrerebbe il trattamento domiciliare, ove indicato, con linee guida terapeutiche ormai peraltro ampiamente sperimentate (Enoxaparina, Desametasone, Azitromicina) ma anche con assistenza tutoriale, al momento non prevista, di un Anestesista ospedaliero di riferimento ogni dieci MMG, per eventuali consigli clinico-terapeutici nel percorso assistenziale domiciliare.
E’ su queste basi che il buon senso, in questo particolare momento storico, deve tendere a preservare sì la salute, ma deve tener conto anche della situazione economica che preoccupa drammaticamente milioni di famiglie, attraverso un giusto equilibrio tra le due esigenze.
Al fine di limitare la diffusione virale ed evitare possibili assembramenti, si era anche parlato maldestramente di confinare in casa indiscriminatamente gli anziani con tutte le conseguenze negative che inevitabilmente tale provvedimento avrebbe comportato in termini di accentuazione di patologie proprie dell’età.
L’idea però di limitare in qualche modo la libera circolazione dei cittadini, fatte salve ovviamente determinate categorie lavorative e particolari situazioni di necessità, è una cosa che sarebbe certamente auspicabile se ben studiata, facilmente applicabile e comprensibile nella sua attuazione, così da poter realmente produrre risultati certi e di lunga durata. La panacea sarebbe quella quindi, di limitare la circolazione di circa metà della popolazione senza però creare grandi squilibri nella vita reale delle persone.
Il principio semplice e facilmente realizzabile sarebbe quello di autorizzare il libero movimento dei cittadini in base alla propria data di nascita; in pratica nei giorni pari di martedì, giovedì e sabato sarebbero autorizzati ad uscire i cittadini nati in anni con l’ultima cifra pari e viceversa nei giorni dispari di lunedì, mercoledì e venerdì coloro nati in anni con ultima cifra dispari.
In tale maniera e nell’arco della settimana andrebbe in giro e senza alcun tipo di discriminazione circa la metà della popolazione, sacrificio sicuramente accettabile, perchè si tratterebbe in sintesi di programmare le uscite compatibilmente alle proprie esigenze, che sarebbero in questo modo salvaguardate.
Questa soluzione, che dimezzerebbe il pericolo di diffusione virale unitamente ad altri provvedimenti congrui, contribuirebbe a poter far ripartire le varie attività lavorative anche serali come la ristorazione con limitazioni magari temporali, comporterebbe certamente inoltre anche una diminuzione della probabilità di contagio sui mezzi pubblici limitando, anche in altri contesti, ogni possibile situazione di assembramento.