Dopo il reddito di cittadinanza, l’arciMinistro Di Maio propone di intervenire anche sul salario orario stabilito per legge. A legittimare l’intervento del governo arriva il Pd dall’opposizione con una proposta identica sul piano ideologico, ma con 9 euro netti anziché nove lordi proposti dal titolare del Lavoro. Si sa, la sinistra ha sempre avuto intenzioni di questo tipo; nella sostanza, non ha mai rispettato l’autonomia dei soggetti sociali, per le regolazioni nei rapporti di lavoro.
I 5 Stelle non avrebbero, di certo, potuto sottrarsi a questa fatale attrazione: decidere con legge lo stipendio da assegnare ai lavoratori. Naturalmente, si spiega e si rispiega, lo si fa per venire incontro ai dipendenti privi di garanzie contrattuali. Credo, tuttavia, che non si sia tenuto conto delle controindicazioni sul fronte del delicato ed efficace sistema delle relazioni industriali.
Tutti i lavoratori italiani hanno finora potuto godere del principio costituzionale che assicura una retribuzione sufficiente per sostenere la propria famiglia e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto. Questa norma da sempre porta la magistratura, in caso di contenzioso, ad applicare i contratti nazionali di lavoro del settore merceologico di pertinenza, siglati dai Sindacati e dalle associazioni dell'imprenditoria più rappresentativi sul piano nazionale. Si tratta, probabilmente, dell’unico tema, nel quale la giurisprudenza si è consolidata: da Trento a Agrigento.
La stessa Corte Costituzionale con più sentenze nel corso dei decenni, e fino ai nostri giorni, ha sempre avvalorato questa prassi. Tra le motivazioni più profonde della Consulta, c’è l'oggettiva constatazione che la contrattazione nazionale in ogni settore specifico è definita da associazioni datoriali e dei lavoratori largamente rappresentative, le quali nel complesso possono vantare una copertura in Italia che nessun altro Paese raggiunge: oltre l'80%.
Taluni hanno sostenuto che, talvolta, il ricorso a spregiudicati contratti “pirata” esponga i lavoratori a salari più bassi, ma non è così, visto che la misura che il magistrato considera è esclusivamente il minimo contrattuale pattuito dalle associazioni più rappresentative sul piano nazionale. Dunque a chi giova introdurre una misura che addirittura espone il Parlamento ad una rincorsa tra le mutevoli maggioranze ed opposizioni? Insomma, i lavoratori avrebbero solo da perderci: in prospettiva per il salario e per la perdita del loro potere complessivo nella società. Torneremmo indietro di diversi decenni.
Se il governo, invece, volesse fare qualcosa per i paria del lavoro italiano dovrebbe piuttosto preoccuparsi dei para-autonomi: partite iva povere, cocopro, collaboratori ed associati in partecipazione, e altre categorie ancora. Queste realtà, essendo configurate nel lavoro autonomo e non avendo potere contrattuale come i lavoratori dipendenti, sono esposti sul salario e sul Welfare.
Va precisato anche che molti di questi lavoratori autonomi, in verità svolgono mansioni da lavoro dipendente, per risparmiare su tasse, contributi e salario. Spero dunque che il governo desista dall’indebolire la contrattazione tra le parti nel lavoro dipendente per difendere la loro preziosa autonomia. A meno che il problema di Di Maio sia un altro.