Lunedì 27 febbraio è scaduta la prima rata del 2022 relativa alla cosiddetta “pace fiscale”, benché siano concessi ulteriori cinque giorni di tolleranza per il pagamento dell’importo dovuto, e, visto come si sia aperto l’anno, vale la pena fare qualche ragionamento sull’argomento. Giusto per rinfrescare la memoria va ricordato che la “pace fiscale” fu prevista con la Legge di Bilancio 2019, poi prorogata con diverse modifiche, e mira alla regolarizzazione delle pendenze tributarie con l’Agenzia delle Entrate Riscossione e delle multe dovute a vario titolo per evitare onerosi accertamenti fiscali o liti potenziali.
Questa è strutturata su due strumenti: rottamazione, che prevede una serie di sconti su sanzioni e interessi per i contribuenti in difficoltà con il pagamento pieno delle tasse e delle cartelle esattoriali secondo una precisa rateizzazione, e saldo e stralcio che è una sanatoria debiti sotto i mille euro.
Dopo la sospensione dei pagamenti avvenuta con i “decreti Covid” che hanno differito il pagamento delle rate 2020 e 2021 permettendone il saldo in un’unica soluzione lo scorso 9 dicembre, dei circa 1,25mln di contribuenti in regola con i pagamenti a inizio 2020, ben il 43% non è riuscito a saldare il dovuto in tempo decadendo, così, dai benefici del provvedimento.
Si parla di oltre mezzo milione di contribuenti che si ritrovano, ora, in attesa delle cartelle esattoriali che prevedono il pagamento entro cinque giorni dalla ricezione, perché non scattino misure di riscossione coattiva, e senza alcuna possibilità di accedere a ulteriori rateizzazioni per il debito residuo.
Se si volesse ben guardare questi sono dei crediti difficilmente esigibili perché in testa ad aziende in crisi (se non già fallite) o a persone in evidenti difficoltà economiche e, per questo, era stato richiesto da più parti il ricorso a nuove agevolazioni che, però, a oggi non sono state nemmeno ipotizzate. Cosa potrebbe succedere, quindi, agli inadempienti?
Se si navigasse sul sito dell’Agenzia delle Entrate, senza dover ricorrere a studi in diritto tributario, si potrebbe vedere che le procedure di riscossione possibili sono relative al pignoramento di beni reali, da una parte, o di beni patrimoniali, dall’altra.
Questo si traduce, per le persone fisiche, al pignoramento degli immobili, salvo che non si tratti dell’unico in possesso del debitore e adibito a prima casa, o dei conti correnti e, se questo non fosse sufficiente, si può giungere al pignoramento fino a un quinto dello stipendio per giungere, prima o poi, al saldo del debito.
Per le imprese, oltre al pignoramento di beni reali, tra cui anche i macchinari di produzione, e dei conti correnti può scattare anche il pignoramento dei crediti verso terzi. È evidente che nella situazione attuale tutto questo potrebbe innescare una vera e propria bomba economica a livello di sistema.
Nonostante i dati di crescita dello scorso anno, che erano però un rimbalzo dopo il tonfo del 2020, per molte famiglie e PMI la situazione nel 2022 non si è aperta nel migliore dei modi, con redditi ancora sotto i livelli pre-pandemici e i costi, soprattutto energetici, in forte crescita.
Lo scoppio della guerra in Ucraina e le previsioni sulle ricadute economiche nei prossimi mesi, poi, non sono certo incoraggianti, cosa che andrà a deprimere ulteriormente i consumi (salvo che per i beni di prima necessità) allontanando ancora il riavvio di quella fase di crescita che il programma NGEU e il conseguente PNRR in Italia volevano stimolare. L’arrivo di questa vera e propria “mazzata” dal lato del recupero fiscale potrebbe ulteriormente minare la ripresa che il Paese aspetta, almeno, da 30 anni.
Non è un mistero che questi due anni di crisi pandemica abbiano colpito soprattutto le PMI, in particolar modo artigiani e operatori turistici, con un calo verticale del fatturato solo in minima parte coperto dai “ristori” e dalla cassa integrazione straordinaria prevista per i dipendenti previsti dai decreti dello scorso governo.
È evidente che, di fronte a tutto questo, un ritorno alla “normalità” pre-Covid19 non sia credibile in breve tempo e la possibilità di saldare le pendenze con il fisco, per molti, possa risultare impossibile. Ha senso, quindi, aprire dei costosi contenziosi, per lo stato e per i debitori, a fronte di crediti difficilmente esigibili, quindi? A oggi la risposta difficilmente potrebbe essere positiva e sarebbe, credibilmente, il caso di un intervento del legislatore per prevedere una moratoria durante la quale effettuare una seria due diligence sui crediti fiscali in essere per valutare il da farsi.
Se una sanatoria, un vero e proprio condono, politicamente non sia perseguibile, anche per merito di una certa percezione del problema montata da una precisa vulgata mediatica portata avanti negli ultimi anni, una riforma della riscossione, mirata a un sistema più efficiente anche con rateizzazioni ad hoc tarate sulla capacità contributiva del debitore, potrebbe non essere un’idea campata per aria.
Dal settore bancario e dalla gestione degli NPE, termine diventato celebre negli ultimi anni a seguito delle varie crisi che hanno colpito diversi istituti di credito, potrebbe arrivare il know how necessario per strutturare soluzioni meno burocratiche, meno “punitive e più aderenti alla realtà rispetto a quelle oggi previste.
Manca, forse, la volontà politica per portare avanti un progetto del genere ma se “non esistono i soldi pubblici, esistono solo i soldi dei contribuenti”, come indicava Margaret Thatcher, allora anche il fisco dovrebbe cominciare a ragionare in questo modo, perché, nonostante la crescita del PIL stagnante da decenni, l’unica cosa che sia sempre stata in crescita è la spesa pubblica (e il debito a voler essere pignoli) fino a toccare la quota di oltre 1’000mld di euro, nel 2021 come calcolato dalla CGIA di Mestre, di cui circa il 16% per gli stipendi ed è controproducente andare a colpire chi crei le risorse per mantenere tutta la struttura quando è già vessato da una delle pressioni fiscali più elevate in OCSE e se, effettivamente, la sua inadempienza all’obbligazione fiscale sia dovuta a una questione congiunturale. Il rischio è che le risorse e i cantieri messi in campo con il PNRR diventino solo debito e non l’humus per il rilancio del paese.