Dopo due anni scolastici complessi per via della pandemia di Coronavirus, il 2020-‘21 e il 2021-’22 (senza dimenticare gli ultimi quattro mesi di quello del 2020, segnati dal lockdown), la scuola italiana torna in classe con delle novità sostanziali e questioni ormai “strutturali”. Dopo la stagione dei provvedimenti più restrittivi per limitare la diffusione del contagio, la verifica del green pass, l’adozione dei protocolli per le quarantene e il ricorso alla didattica a distanza e i protocolli, il mondo della scuola si mette in scia al resto del Paese.
Secondo le indicazioni contenute nel vademecum per l’avvio dell’anno scolastico del Ministero dell’istruzione (https://www.miur.gov.it/web/guest/-/covid-19-inviato-alle-scuole-il-vademecum-con-le-indicazioni-per-l-avvio-dell-anno-scolastico-2022-2023), basate su quelle dell’Istituto superiore di sanità del 5 agosto (https://www.iss.it/web/guest/-/covid-19-pubblicate-le-indicazioni-operative-per-le-scuole), non c’è più l’obbligo di indossare le mascherine, se non per quegli alunni e componenti del personale fragili, anche se resta una certa discrezionalità sul chi definire fragile, né il distanziamento. Restano invece l’igiene delle mani e il divieto di accesso a scuola in presenza di sintomi, febbre, positività al Covid. E’ consentita la presenza in classe di bambini e studenti con lievi patologie, come il raffreddore. Anche se una decisione del genere sembrerebbe più spettante a un operatore sanitario più che da dirigente scolastico o da docente. Il ministero non esclude comunque “nell’eventualità di specifiche esigenze di sanità pubblica”, ovvero in caso di peggioramento dello scenario pandemico, di tornare a misure più severe come la mascherina obbligatoria per tutti (a partire dalla scuola primaria), il distanziamento di 1 metro (ove possibile) e lo stop a viaggi d’istruzione. Ma sono tutte misure ipotetiche e che, si spera, resteranno tali.
Un altro elemento importante del protocollo di sicurezza è la qualità dell’aria nelle aule. Una scuola-simbolo del periodo pandemico, l’istituto comprensivo di Vo’ Euganeo, ha installato questi impianti e i contagi sono stati estremamente limitati. A parte il caso della regione Marche, che più di altre ha puntato a realizzare un numero quanto più possibile consistente di interventi, negli altri territori l’installazione di sistemi del trattamento dell’aria a scuola è stato abbastanza isolato e sporadico (https://www.regione.marche.it/News-ed-Eventi/Post/83541/Covid-19-la-ventilazione-meccanica-controllata-Vcm-abbatte-il-rischio-contagio-oltre-l-80-Primo-studio-pilota-nelle-Marche-unica-regione-in-Italia-ad-aver-investito-per-contrastare-la-diffusione-della-pandemia-nelle-scuole ). Per cui nella stragrande maggioranza degli istituti invece il ricambio d’aria avverrà aprendo le finestre, e questo per due motivi. Il primo è che le scuole sono di proprietà degli enti locali, quindi i presidi non possono agire motu proprio su interventi strutturali come spesso sistemi di questo tipo richiedono. E anche a voler usare sistemi portatili o che non richiedano opere strutturale, a livello nazionale non sono stati erogati fondi ingenti ed esclusivamente dedicati all’acquisto di sistemi di di trattamento dell’aria da parte delle scuole. I dirigenti scolastici dovranno comunque far effettuare i monitoraggi qualità dell’aria alle aziende sanitarie locali, che, a loro volta in caso debbano intervenire, devono rivolgersi agli enti locali proprietari edifici. Tra l’altro, la Società italiana di medicina ambientale sostiene che in ogni classe andrebbe installato un rilevatore di livello di Co2, per non tenere sempre le finestre aperte quando non serve. Dispositivi di questo tipo, al contrario, sarebbero abbastanza alle portata delle finanze di qualsiasi (o quasi) scuola.
Un’altra novità di questo anno scolastico è che la didattica a distanza e la didattica digitale integrata non sono più contemplate e chi è positivo non partecipa alle lezioni. Una decisione che porta a riflettere su un tema che riguarda il nostro Paese, ovvero quello della frequenza scolastica. In Italia si perdono tanti giorni di scuola, lo ha spesso evidenziato anche il presidente dell’Invalsi Roberto Ricci, per emergenze meteo, per le elezioni o perché a volte gli stessi studenti non entrano. Ora che si era messa in piedi, la didattica mista poteva portare dei vantaggi in termini di continuità didattica. Basti pensare alle situazioni in cui è impossibile recarsi a scuola, agli studenti fragili o ancora a quelli che partecipano a competizioni sportive.
Passate in rassegna le “novità” dell’anno scolastico 2022-’23, passiamo a osservare una questione che si può definire strutturale: le assegnazioni delle cattedre, comprese quelle degli insegnanti di sostegno.
Ogni anno, per consentire alla scuola di funzionare, oltre all’organico di diritto, bisogna nominare dei professori con contratto a tempo determinato che vanno ad aggiungersi ai professori con un contratto a tempo indeterminato (il cosiddetto organico di diritto), perché il numero degli studenti può variare. Annualmente, ci sono 100mila supplenti da contrattualizzare e la maggior parte di questi riguarda soprattutto il sostegno, la componente della vita scolastica più soggetta a variazioni da un anno all’altro. Quest’anno il Ministero dell’economia e delle finanze ha stabilito che 94mila di questi posti fossero coperti con professori a tempo indeterminato, ma non è stato possibile assegnarli a chi spettavano di diritto o perché non si facevano concorsi da anni e quando sono stati svolti sono state fatte “stragi” di candidati o perché provenienti da una graduatoria. Così durante l’estate si sono dovuti individuare circa 150mila supplenti e si stima che, anche calcolando le supplenze brevi, si arrivi nel corso dell’anno a coprire 200mila cattedre.