Non saprei dire se è stato in senso stretto un risultato “storico” perché vi sono state riforme costituzionali anche in questi ultimi anni, come ad esempio quella del Titolo V e quella dell’art. 81. In ogni modo è un passaggio importante perché va a razionalizzare la scelta adottata con legge costituzionale nel 1963, aprendo nuovi spazi per un diverso bicameralismo.
In questo senso, ora, vieppiù è necessario affrontare quelle sfide che questo voto pone, ossia dar seguito ad ulteriori riforme incrementali tali da rafforzare questa scelta popolare così forte da un lato e, dall’altro, prosciugare il più possibile la distanza tra governanti e governati che in questi anni, anche su questo tema, è cresciuta.
La vittoria del Sì al referendum ha, dentro di sé, almeno due elementi. In primo luogo è un’ottima occasione per sfruttare il momentum come leva per aprire una finestra su un futuro di ulteriori e necessarie riforme, a partire dalle tre proposte di riforma già nel pieno del loro iter parlamentare: l’allineamento dell’età per l’eleggibilità a deputato e senatore, che consente l’allargamento della rappresentanza politica ai giovani; il superamento della base regionale del Senato, che può contribuire a ridurre il rischio di due maggioranze diverse tra Camera e Senato; la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato, che evita squilibri territoriali nel voto. A queste, a maggior ragione, se ne devono aggiungere delle altre, compreso il necessario corollario di una revisione dei regolamenti parlamentari, come ad esempio l’analisi delle funzioni “congiunte” tra Camera e Senato, compresa la possibilità di dare un voto di fiducia al Governo contestuale insieme da parte delle due camere riunite.
Si deve certamente fare una nuova legge elettorale, sebbene si abbia già una legge – la n. 51 del 2019 – che possa adattare l’attuale legge elettorale ai nuovi numeri. Tuttavia ne uscirebbe un Parlamento non molto rappresentativo, soprattutto se non si risolve quanto prima il problema del disegno dei collegi elettorali.
In ogni modo, ritengo sia necessaria una diversa legge elettorale, capace di corrispondere meglio al rapporto tra eletti ed elettori. In questo senso, inviterei a un surplus di prudenza nei tempi e nei contenuti, perché le soluzioni proporzionalistiche non è detto che siano le più feconde, specie tenendo conto di quanto siano forti le regioni coi loro sistemi a maggioranza garantita. Per cui non vedo male – compreso nella sua fattibilità tecnica – un sistema maggioritario a doppio turno, tale da consentire un modo di porsi coerente e pluralista del voto, garantendo rappresentanza e governabilità.
Le sfide saranno tante, a partire da una gestione dell’emergenza Covid che impedisca il ritorno ad un lockdown che, a differenza di altri Paesi, forse il nostro potrebbe riuscire ad evitare.
A parte questa, la sfida maggiore è dare un senso di prospettiva, a lungo termine, alle scelte che si proporranno per dar senso al c.d. Recovery Plan europeo: un’opportunità incredibile per sanare le fratture e i problemi storici di un Paese ancora troppo disomogeneo al suo interno, troppo asimmetrico, sempre più distante dalle prospettive di cambiamento che ci circonda, soprattutto nelle aree più interne. Insomma, perdere quel treno europeo, con scelte miopi o di corto respiro, sarebbe l’errore più grave che questo Governo – e tutta la classe politica – potrebbero fare per il nostro Paese e per le generazioni che verranno.