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Riforma delle intercettazioni: cosa non ha funzionato

Per comprendere lo spirito delle nuove norme in materia di intercettazioni telefoniche ed ambientali occorre prendere le mosse dal contenuto dell'articolo 15 della Costituzione, secondo il quale la libertà e la segretezza della corrispondenza sono inviolabili; la medesima disposizione stabilisce che ogni limitazione a tale principio può avvenire solo per atto motivato della Autorità giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge. 

La legge consente pertanto al magistrato di “violare” la libertà e la segretezza delle conversazioni solo qualora ciò sia “assolutamente indispensabile” per svolgere indagini in ordine ad una categoria di gravi reati previamente indicati.

In sostanza, le intercettazioni costituiscono una deroga al principio costituzionale di inviolabilità delle comunicazioni, la quale può trovare applicazione solo quando ciò sia necessario per acquisire prove in ordine alla commissione di reati particolarmente gravi.    

Le intercettazioni, pertanto, non possono essere utilizzate come strumento per controllare, ad esempio, la moralità, la correttezza, la probità, la fedeltà coniugale od altre qualità morali o personali e ciò per preciso dettato costituzionale.

Proprio per evitare che il contenuto di conversazioni non necessarie ai fini della prova circa la sussistenza di reati venisse comunque reso pubblico e quindi al fine di dare più puntuale attuazione al principio costituzionale sopra indicato, con la l. n.216 del 29 dicembre 2017, sono state introdotte alcune importanti modifiche legislative che avrebbero trovato applicazione, secondo quanto originariamente previsto, 180 giorni dopo l’entrata in vigore della legge. 

Occorre premettere che la nuova regolamentazione non incide sui presupposti delle intercettazioni, ovvero sui casi in cui la Autorità giudiziaria si può avvalere del predetto strumento investigativo: i criteri di ammissibilità delle intercettazioni rimangono quelli precedentemente in vigore, sotto tale profilo non è stata apportata alcuna modifica.

Il legislatore è intervenuto, invece, sullo svolgimento delle attività di intercettazione, innovando la disciplina di tale fase, principalmente, sotto due aspetti.

Da un lato ha imposto un “filtro preventivo“, disponendo che la Polizia giudiziaria che procede all'ascolto delle conversazioni ed il Pubblico Ministero che dirige le indagini omettano di trascrivere quelle conversazioni ritenute “irrilevanti” , quelle cioè che non hanno una diretta attinenza con la prova dei reati per cui si procede. Naturalmente ai difensori è data possibilità, una volta concluse le indagini, di ascoltare (ma non di trascrivere) tutte le conversazioni intercettate; Pm e difensore indicheranno poi al Giudice di quali intercettazioni intendano avvalersi e questi deciderà quali trascrivere, escludendo quelle irrilevanti e quelle vietate (quali ad esempio quelle tra l'indagato ed il suo difensore). Solo le conversazioni così individuate potranno entrare nel processo ed essere utilizzate. 

Allo stesso tempo si dispone che i verbali delle operazioni compiute ed i supporti contenenti le registrazioni di tutte le conversazioni intercettate vengano custoditi in locali protetti (archivio riservato) posti presso l Ufficio del Pubblico Ministero e rimangano coperti da segreto. Tutte le conversazioni che il Giudice, nel modo sopra descritto, abbia ritenuto irrilevanti verranno poi distrutte

Lo scopo evidente della nuova normativa è quindi quello di evitare che trovino ingresso negli atti processuali e vengano poi divulgate conversazioni che nulla hanno a che vedere con i reati per i quali sono state disposte, contemperando le esigenze investigative con la tutela dei diritti di soggetti estranei alle indagini.

Se queste però sono le linee che hanno ispirato la riforma va detto che il risultato non è stato soddisfacente. La limitazione della possibilità di conoscere il contenuto di tutte le intercettazioni, con la decisione di inserire quelle ritenute non rilevanti per le indagini in un registro riservato, secondo alcuni magistrati, ostacolerebbe la piena conoscenza del materiale probatorio riguardante soggetti indiziati di aver commesso reati. Di fatto la possibilità che si lasciasse alla polizia operante una prima valutazione indicazione circa la rilevanza o meno di una conversazione, prevedendo che la telefonata intercettata oppure il dialogo captato in un ambiente non venisse neanche segnalato in modo riassuntivo, ha fatto temere un indebolimento di questo strumento di indagine, avendo l’esperienza insegnato che conversazioni ritenute in prima battuta di poco conto potevano in un secondo momento, alla luce di altre informazioni ottenute, acquisire un valore importante. 

Inoltre il sistema ideato per la conservazione dei supporti informatici delle intercettazioni appariva complesso e farraginoso, tale da rendere ancor più difficoltoso il lavoro degli uffici giudiziari.

Secondo molti osservatori, inoltre, la riforma avrebbe inciso negativamente sull’effettività del diritto alla difesa, posto che gli avvocati non erano messi nelle condizioni di conoscere l’intero materiale acquisito a seguito delle intercettazioni e dunque di esplicare appieno la loro attività a tutela dell'indagato.

Per l’insieme di queste ragioni, il Presidente dell'Associazione Nazionale Magistrati, Francesco Minisci, ha testualmente affermato che la riforma “… è sbagliata, non raggiunge l'obiettivo di tutelare la privacy” ed “è dannosa sia per il lavoro dei Pm che per il diritto di difesa” .

Appare apprezzabile, seppur tardiva, la presa di coscienza da parte del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, il quale ha preso atto delle osservazioni critiche sin qui riassunte e dei punti deboli della riforma, così che la nuova legge sulle intercettazioni non è entrata in vigore.

Come si vede, non è semplice operare un efficace contemperamento tra la tutela dei diritti del singolo e quella della collettività che ha primario interesse alla repressione dei reati, particolarmente di quelli gravi. Si tratta di un tema delicatissimo perché se è vero, da un lato, che le intercettazioni rappresentano un rischio serio e concreto per alcuni fondamentali diritti di libertà, è altrettanto vero che lo strumento captativo costituisce sempre più, con l’evolversi delle strategie illecite, il supporto fondamentale ed indispensabile ai fini dell’accertamento e della repressione degli illeciti caratterizzati da maggiore disvalore sociale, quali, solo per fare alcuni esempi, la corruzione nella Pa ovvero i traffici di sostanze stupefacenti.

Paolo Auriemma – Procuratore capo di Viterbo

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