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Riapertura delle scuole: gli errori fatti e quelli da non ripetere

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Avevamo sperato che il dramma collettivo della pandemia ci rendesse tutti un po’ più consapevoli della necessità di agire, in situazioni di emergenza così grave, nel segno della responsabilità e della coesione in difesa di un interesse comune, abbassando i toni della polemica di corto respiro in cui troppo spesso si avvita e si esaurisce il nostro dibattito politico. Speranza che non vorrei si rivelasse un’illusione, come purtroppo inducono a pensare tanti, troppi segnali. Ad esempio, le tensioni che da fine estate ad oggi stanno segnando i rapporti fra Governo Centrale e Regioni sulle misure da adottare per contrastare la diffusione del contagio, e all’interno di esse quelle riguardanti in modo particolare la scuola.

Non ci voleva molto a capire che la riapertura delle attività in presenza sarebbe stata una prova particolarmente difficile e impegnativa. Che non fosse sufficiente definire un protocollo di regole per la sicurezza, da noi fortemente voluto e sottoscritto purtroppo solo il 6 agosto, lo avevamo ben chiaro da subito. Per questo abbiamo più volte richiamato ciò che era necessario e urgente assicurare col concorso attivo di tutti i soggetti coinvolti, ognuno con le proprie competenze. Anzitutto la disponibilità di spazi e di dotazioni indispensabili alla salubrità dei locali e alla protezione individuale in ogni edificio scolastico, e nel frattempo che si garantissero tre condizioni fondamentali per un rientro sicuro a scuola: la presenza puntuale, e in numero adeguato al fabbisogno, di personale docente e ATA; un supporto costante e tempestivo sotto il profilo sanitario per gestire al meglio ogni emergenza; un rafforzamento della rete di trasporto pubblico finalizzato a limitare ogni eccesso di affollamento sui mezzi utilizzati dagli studenti.

Non poteva sfuggire a nessuno l’enorme impatto che avrebbe avuto sulla collettività riattivare un settore che direttamente coinvolge oltre dieci milioni di persone (tra studenti e personale) e indirettamente molte di più. Ma serve a poco rivangare oggi errori, ritardi, inadempienze che pure vi sono certamente state, e che investono soprattutto la questione trasporti. Più importante capire che cosa va fatto adesso, perché un ritorno alle attività in presenza non si riduca a una semplice parentesi prima di una prossima chiusura. Vorremmo che tutti si concentrassero sulle cose da fare, il problema del ritorno o meno alle attività in presenza non può ridursi a una questione di “immagine”, di polemica strumentale, di conflitto tra opposti protagonismi. Si accantoni, se possibile, la diatriba sterile su che cosa sia preferibile fra didattica a distanza o didattica in presenza. È naturale che sia quest’ultimo il modello da privilegiare, non lo si scopre certo oggi. La didattica a distanza, cui si ricorre in emergenza quando non vi sono alternative, va garantita organizzandola nel miglior modo possibile. Per questo è stato giusto e opportuno definire un quadro di regole in sede contrattuale, evitando che prevalessero confusione, improvvisazione, arbitrio. Va poi detto con estrema chiarezza che non è ammissibile invocare il primato della didattica in presenza solo come alibi per sottrarsi all’impegno, certamente rilevante, che richiede quella a distanza.

Ma torno alle condizioni che vanno assicurate perché sia possibile ipotizzare in tempi più o meno brevi una riapertura delle scuole in sicurezza e non di breve durata. Non ripeto quanto ho già detto su ciò che serve (personale, controlli sanitari, trasporti), osservo soltanto che si tratta di questioni non risolvibili in un’ottica di ordinaria amministrazione, ma soltanto prendendo atto dell’impatto straordinario che la gestione dell’emergenza assume nella scuola e trarne le debite conseguenze. Ho avuto modo di dirlo nell’ultimo Tavolo sulla sicurezza, che affrontava in particolare il tema trasporti: se non è pensabile che gli enti locali possano in breve tempo incrementare la rete dei propri servizi, si facciano intervenire quei soggetti che solitamente agiscono nelle grandi situazioni di crisi. Penso alle Forze Armate, per i trasporti, o alla Protezione Civile per la sorveglianza e i controlli da porre in essere fuori dalle scuole. Così come serve personale sanitario appositamente ed esclusivamente dedicato, da reclutare subito con procedure straordinarie, come si è fatto e si fa quando occorre. Non possiamo pensare che sia il personale della scuola a svolgere compiti di tutela della salute per cui non ha ovviamente alcuna preparazione. Il personale della scuola non può essere abbandonato a sé stesso in un’emergenza di questa portata, dovendo magari subire, nel frattempo, anche odiose insinuazioni su una presunta scarsa disponibilità all’impegno, gravemente offensive sul piano umano e professionale. Mi è sufficiente ricordare la campagna imbastita prima degli esami di stato, dove il paventato assenteismo di docenti e dirigenti ha ricevuto nei fatti una sonora smentita. Avremmo gradito se ne desse atto con altrettanto risalto, cosa che purtroppo non è avvenuta. Ma questo non fa comunque venir meno il nostro impegno, che in ogni caso continua.

Maddalena Gissi: