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Reddito di cittadinanza: la vera domanda da porsi è come riformarlo

200 milioni di euro finiti nelle tasche di chi non ne aveva diritto solo nel 2021, quasi il triplo rispetto all’anno precedente. I controlli sui percettori del reddito di cittadinanza gettano benzina sul fuoco delle polemiche relative alla misura contro la povertà introdotta dal governo Conte nel 2019 e confermata da Draghi nel 2020.

Indispensabile strumento per attenuare l’indigenza di milioni di italiani finiti nella povertà assoluta o marchetta assistenzialistica volta a ottenere un ritorno elettorale nelle aree più depresse d’Italia e soprattutto del Meridione? La ridda di battute tra favorevoli e contrari oscilla tra questi due estremi e tra i politici da una parte c’è chi è veramente convinto di aver eliminato la povertà, dall’altra c’è chi denuncia un’alterazione del mercato del lavoro in favore di fannulloni e furbetti.

Le cronache delle indagini sulle truffe legate ai percettori del RDC sembrerebbero dare ragione ai secondi, infatti nell’ultima indagine dei carabinieri, l’operazione Ogaden, i controlli eseguiti nelle Regioni Campania, Puglia, Abruzzo, Molise e Basilicata hanno sgominato 5000 violazioni con casi eclatanti di persone che percepivano il sussidio pur avendo Ferrari o facendo parte di organizzazioni criminali, o ancora più semplicemente vivendo in nuclei familiari che superano i 150mila euro l’anno di redditi.

È quindi innegabile che lo strumento sia imperfetto, che la mancanza di un incrocio dei dati inizialmente dichiarati alimenti molte truffe, che ci possa essere un disincentivo alla ricerca del lavoro in alcune fasce della popolazione e che si possa alimentare del risentimento da parte di chi si spacca la schiena per miseri stipendi (quelli italiani sono tra i più bassi in Ue). Dobbiamo quindi buttare tutto il bambino con l’acqua sporca? La realtà è sempre più complessa di quella dipinta dalle tifoserie politiche e non possiamo non considerare che in quasi tutti i Paesi europei ed Occidentali esistono sostegni economici alle persone che si trovano nell’indigenza economica. Possiamo dunque dire con certezza che eliminare tout court il reddito di cittadinanza, in un momento di crisi economica senza precedenti causata dalla pandemia, porterebbe alla canna del gas milioni di italiani che non hanno alcuna fonte di reddito.

La vera domanda da porsi è quindi come va riformato il reddito di cittadinanza. Tutti gli economisti e gli esperti di welfare chiedono una riforma complessiva degli ammortizzatori sociali legati al mondo del lavoro e chiedono di distinguere questi ultimi dalle azioni di mero contrasto alla povertà. Ovvero bisogna distinguere gli strumenti per aiutare chi perde lavoro e quelli a quanti non sono in grado di procurarsi i mezzi per raggiungere la sussistenza per sé e la propria famiglia.

In poche parole non possiamo mettere nello stesso canale sociale il ventenne appena uscito dall’università e che sta cercando lavoro con il cinquantenne divenuto disabile a seguito di problemi di salute e l’anziano che vive con la pensione minima. La questione centrale è quindi capire che non si può dare un reddito garantito a tutti solo perché sono cittadini italiani. Per fare vera giustizia bisogna individuare le categorie sociali e anagrafiche (disabili, famiglie numerose, anziani, persone non autosufficienti…) che hanno più difficoltà a rientrare nel mercato del lavoro e concentrare il sostegno assistenziale su di esse. Sotto i 45 anni il sostegno dovrebbe essere sempre legato alla ricerca di un lavoro e al costante aggiornamento professionale. Mai dovrebbe scattare un disincentivo a cercare lavoro. Individuare i più bisognosi incentivare l’avvio professionale per tutti gli altri.

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