Non si sono mai visti tanti soldi, volendo essere provocatorio “più virus, più soldi”, il Recovery plan è una grande opportunità per l’Italia e particolarmente per il Sud.
Lo hanno compreso i Sindaci del Sud, hanno visto le prime scelte operate dal Governo Draghi, che privilegiano maggiormente la porzione settentrionale del Paese, quella più conglobata con il resto dell’Europa, forse anche quella che è stata più colpita dalla pandemia.
Ciò che mi colpisce delle prime scelte del Governo Draghi, è la “deriva autoritaria” delle scelte, la nomina di Commissari per assicurare il raggiungimento degli obiettivi per le grandi opere infrastrutturali.
Il Governatore certifica, in buona sostanza, l’incapacità dei governi regionali e locali di spendere i tanti soldi presto e bene.
Al Sud, per la verità, siamo da sempre “specialisti” della restituzione di ingenti somme della Programmazione comunitaria, per l’incapacità di spesa o per una spesa fatta senza il giusto criterio.
Peraltro, spesso è capitato che ingenti somme di denari pubblici siano state oggetto di attenzioni da parte della criminalità organizzata o di sistemi corruttivi.
Da meridionale, capisco un Governo che non dia fiducia al Sud, vista la sua incapacità o incongruità di spesa, ma mi compiaccio della levata di scudi dei Sindaci del “Recovery Sud”, che denunciano l’attribuzione del solo 33% di risorse al Sud, «una vera e propria ingiustizia, che sarebbe sufficiente a giustificare una mobilitazione generale delle popolazioni dell’Italia meridionale per il riequilibrio territoriale del Paese».
I Comuni del Sud sono alle prese con una grave crisi di risorse, sia umane che economiche, sono vittime di scelte politiche scellerate, che hanno privilegiato la clientela al merito ed hanno dentro – direttamente o come indotto – decine, centinaia e, in qualche caso, migliaia di persone del tutto inutili a qualsivoglia logica profittevole. E che spesso si avvalgono di ulteriori figure professionali con contratti a termine o consulenziali, più a conferma della logica clientelare che come valore aggiunto.
Ebbene, l’incipit del “Recovery Sud” è il varo di un “South new deal”, cioè un «piano straordinario di assunzioni che destini ai Comuni meridionali 5.000 giovani progettisti, con una corsia preferenziale per i cervelli meridionali in fuga al nord e all’estero, che dovrebbero aggiungersi ai 60mila dipendenti chiesti dall’Anci per colmare le carenze di organico di tutti i comuni.
Nonostante tutto ciò, credo che valga la pena di battersi per un equo Recovery Sud, perché il processo di “ricostruzione” italiano ed europeo tenga in equilibrio sviluppo e coesione sociale, perché anche il Sud possa giocare un ruolo di primo piano nell’Europa del prossimo decennio.
Dunque, lo sviluppo del Mezzogiorno deve essere un grande obiettivo del Piano: per la rilevanza dei divari interni al paese, che in base ai criteri di riparto comunitari hanno determinato la dimensione del finanziamento destinato all’Italia; per motivi di uguaglianza fra i cittadini e di rispetto del dettato costituzionale; per motivi di efficienza economica: gli investimenti nel Mezzogiorno hanno un moltiplicatore più elevato e determinano impatti sull’attività produttiva dell’intero sistema nazionale.
Nella sua attuale formulazione il Piano non dà garanzia che le sue risorse saranno investite con questo indirizzo, e ancor meno che ci saranno effetti sulla riduzione delle disparità e sulla crescita del Mezzogiorno e quindi dell’intero paese.
Per questo, per il documento, il Piano dovrebbe essere riformulato, esplicitando il ruolo del Sud nelle sue principali missioni e il contributo che dal Sud può venire alla crescita del paese. Ma anche la scelta chiara di riduzione dei divari civili, a partire da scuola, sanità e assistenza sociale e delle disparità nelle dotazioni infrastrutturali materiali (mobilità di lungo e breve raggio) e immateriali (reti digitali, istruzione, ricerca).
Non si fidano i Sindaci meridionali delle rassicurazioni del Parlamento e del Ministro per la Coesione territoriale Mara Carfagna, che ha spiegato come la percentuale dei fondi destinati al Sud sarà certamente non inferiore al 40%.
A tal proposito, in una sua recente analisi, il giornalista Pino Aprile parla, senza mezzi termini, di uno “scippo” delle risorse del Recovery Fund destinate dall’Unione Europea all’Italia (un quarto del totale), per fare nel Mezzogiorno tutto quel che i governi nazionali non hanno mai fatto, e renderlo finalmente “europeo” per infrastrutture e servizi.
A fronte di oltre i due terzi (quasi il 70%) dei fondi da destinare al Sud, la Ministra si ferma intorno al 40% e nel conto include pure i fondi Riact-Eu e Fsc (sviluppo e coesione), che sono già destinati, in quota fissata per legge, al Sud, e riguardano altri cespiti di spesa. Depurato dalla patacca, quel truffaldino 40 scende a 32%, ma una percentuale “lorda” perché, per l’interconnessione economica fra Nord e Sud, ogni euro investito nel Mezzogiorno fa rimbalzare 41 centesimi al Nord (se investito al Nord ormai saturo, quell’euro “produce” solo 5 centesimi scarsi); pertanto il 32%, tolto il 41 che va al Nord, diventa scarso il 20% vero.
Del resto, questa è la modalità che ha accompagnato l’Italia sin dal secondo dopoguerra, c’è sempre voluto un Sud per far crescere a dismisura il Nord, non c’è mai stata un’Unità nazionale e il Sud è stato – ed è – terra di conquista, di sfruttamento, di periferia, in cui le grandi industrie del Nord hanno fatto i loro interessi economici con brevi ma intensi insediamenti produttivi, lasciando alla fine terre riarse, malattie, disoccupazione, disperazione.
Sarebbe davvero un grave peccato che la pandemia aggravasse le disparità, ma è ciò che sta avvenendo in ogni parte del mondo…e perché il Sud Italia dovrebbe fare eccezione?
Per tutti questi motivi, sostengo la battaglia dei Sindaci, sperando che sia una battaglia di cittadinanza, che coinvolga gli abitanti del Sud, che stimoli i giovani ad investire nella loro terra d’origine, che rianimi le strutture pubbliche e che rilanci una classe politica degna di questo nome.
È anche lusinghiero che la Ministra Carfagna ipotizzi di “puntare sul Terzo Settore “per il rilancio del Sud, ci sono tante esperienze di eccellenza e di frontiera che sono la vera “cerniera sociale” in Territori in cui la legalità è un optional.
Le realtà del Terzo Settore stanno guidando importanti esperienze di prossimità al Sud, hanno saputo arginare la deriva delle istituzioni sui versanti della cura, ma anche dell’assistenza, dell’educazione, dell’occupazione e del presidio delle periferie.
Ma al Ministro vorrei dire che scelga bene i soggetti con cui collaborare, perché purtroppo tanta parte del Terzo Settore si è ridotto ad essere sgabello della politica e delle istituzioni, con attività e servizi di scadente qualità ed utilità.
A questo proposito la solidità e la qualità delle organizzazioni del Terzo settore è uno spartiacque imprescindibile per un vero sviluppo al Sud.
Per rappresentare le ragioni del Sud bisogna esserne degni e bisogna farlo perché il Sud ricostruisca il suo tessuto connettivo intorno al capitale umano e ai suoi tesori naturalistici, turistici, culturali. Riprenda in mano le sue tradizioni e sdogani le grandi cariatidi industriali e le politiche assistenzialistiche e improduttive.