La crisi di governo non solo non è ancora rientra ma certamente influenza il dibattito sulle risorse economiche. Nell’attuale maggioranza – per provare a ragionare in termini “alti” – si confrontano almeno tre anime, che si potrebbero definire riformatrice, statalista e liberal-democratica, rispettivamente rappresentate da Pd, Cinque Stelle e Renzi. Dunque la difficoltà sul ‘come’ investire o spendere i denari pubblici corrisponde alla diversità di questi tre orizzonti politico-culturali.
Poi, certo, ci sono i problemi di ‘retrobottega’ legati a posizionamenti politici dei cosiddetti leader. Recentemente Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Partito Popolare Italiano, ha tratteggiato, in un dibattito sui social, la figura di Emanuele Macaluso, comunista “migliorista”, appena scomparso, raccontando la nostalgia per un’epoca in cui la politica era fatta di confronto acceso ma soprattutto ragionamenti, analisi, discussioni intellettuali, rispetto umano.
Credo – e l’ho detto in quel dibattito – che quel mondo non esiste più e si è portato via il concetto di “classe dirigente” dedicata alla politica. Certo, così, sono usciti dal sistema tanti personaggi secondari che vivevano immeritatamente soltanto di politica con la “p” minuscola, ma è anche morta definitivamente la “cultura politica”, sostituita da abilità mediatica e improvvisazione.
I fondi europei, in questo caso, sono oggettivamente molto cospicui e l’efficacia del loro utilizzo dipende dalla governance di tali fondi. Anche e soprattutto per questo – in questo momento storico – occorre un governo forte e competente. Ritengo che spetti al Capo dello Stato sbloccare la crisi con un’iniziativa, che – appare evidente – non possa arrivare da un Parlamento dilaniato da divisioni pre-elettorali. Non credo affatto che il ruolo del Presidente della Repubblica sia quello – con infelice metafora calcistica – di semplice arbitro; egli è il garante della Costituzione, la quale è stata scritta per il bene del popolo italiano ed oggi il nostro bene è avere – ripeto – un governo forte e competente, autorevole in Europa, che sappia gestire al meglio le risorse necessarie per uscire dall’attuale crisi economico-sociale che attanaglia l’Italia della pandemia.
Le diseguaglianze in Italia si sono paurosamente acuite: c’è chi, nonostante la pandemia, ha addirittura incrementato gli utili, si pensi ad alcuni settori della finanza e dell’industria dell’hi-tech; altri, come i dipendenti pubblici, non ne hanno sostanzialmente risentito. La crisi ha, invece, colpito le c.d. partite iva, i dipendenti del settore privato che a breve – purtroppo – ne risentiranno in termini di occupazione e, soprattutto, chi già viveva nella precarietà.
Quando si parla di ‘famiglie che restano indietro’ occorre fare riferimento da quali, tra le categorie descritte, esse attingano il loro reddito. Una buona politica per la famiglia, dunque, non può che partire dai temi fiscali per differenziarne il peso. Ma non basta: occorre creare incentivi per la formazione delle famiglie stesse, come recita la nostra Carta costituzionale.
Recentemente il presidente del Forum per le famiglie, Gigi De Palo, proprio a proposito del Recovery fund, ha manifestato l’urgenza per un piano nazionale per la natalità. Non solo condivido l’indicazione, ma credo che se quel governo forte e competente, che confido possa nascere, non si occuperà di altre “nascite”, quelle che davvero rappresentano la speranza per il futuro, allora sarà ineluttabile tornare alle urne e a quel punto saranno i consensi degli elettori devastati dalla crisi, nel bene e nel male, a dettare l’agenda del Paese.