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Rdc, assegno di inclusione e “Dedicata a te”: cosa bisogna sapere

Foto di Christian Dubovan su Unsplash

Norberto Bobbio diceva che è una cosa stupida svegliarsi al mattino e meravigliarsi di essere uguali a come ci si era coricati la notte prima. Quanti alla fine di luglio hanno ricevuto l’sms dall’Inps che comunicava loro che il reddito di cittadinanza percepito in quel mese era l’ultimo, sapevano dal 1° gennaio che le regole sarebbero cambiate. Certo, un supplemento di informazione è sempre utile, magari attraverso la televisione che è la principale fonte di informazione delle famiglie. Ma non è lecito polemizzare più di tanto sull’uso di un mezzo di comunicazione che è entrato non solo in tutte le famiglie italiane, ma anche nelle abitudini di ciascun componente. Lo dimostra il fatto che l’Inps aveva a disposizione quei numeri, certamente forniti dai diretti interessati. Del resto, anche l’erogazione della prestazione avveniva attraverso strumenti elettronici che richiedevano un minimo di familiarità con le nuove tecnologie. Sarebbe stato molto più complesso (ed oneroso) inviare la comunicazione per raccomandata AR che è divenuta una sorta di calamità per chi la riceve e non è presente al proprio indirizzo quando arriva il postino. Peraltro, secondo le previsioni dovevano essere circa 400mila i beneficiari del RdC che, essendo ritenuti occupabili, entravano nel percorso del sostegno alla formazione dell’importo di 385 euro mensili dal 1° settembre per un massimo di 12 mesi. Da mesi, l’Inps segnalava una diminuzione significativa delle domande, a prova che gli incrementi registrati per quanto riguarda l’occupazione (+ 385mila di cui parecchi a tempo indeterminato) rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, hanno intaccato anche il numero dei percettori della prestazione, oltre ad una migliore messa a punto dei controlli.

Ad adiuvandum ricapitoliamo le principali modifiche:

  • I cittadini che hanno tra i 18 e 59 anni che possono lavorare e non hanno disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni nel nucleo familiare, possono percepire il Reddito di Cittadinanza per un massimo di 7 mensilità. Dunque, non sono più 18 le mensilità rinnovabili come è stato negli anni precedenti;
  • Decadenza del beneficio qualora il cittadino rifiuti la prima offerta di lavoro;
  • Chi percepisce il reddito oppure intende fare richiesta, deve necessariamente essere residente in Italia pena la decadenza del sussidio;
  • Il reddito maggiore percepito a seguito di contratti di lavoro stagionale o intermittente non deve superare il il limite massimo di 3.000 euro lordi;
  • I beneficiari che hanno un’età compresa tra i 18 e i 29 anni che non hanno completato l’obbligo scolastico, devono iscriversi a percorsi di istruzione e adempiere a quanto previsto dalla legge;
  • per quanto riguarda l’affitto, la norma stabilisce che la somma indirizzata al beneficiario deve essere erogata direttamente al locatore dell’immobile in base a quanto risulta dal contratto. Sarà poi il proprietario ad utilizzare la somma per il pagamento del canone;
  • l’abrogazione delle norme relative al Reddito e alla pensione di cittadinanza dal 1° gennaio 2024;
  • l’istituzione di un Fondo per garantire il sostegno alla povertà e all’inclusione attiva;
  • almeno 6 mesi di partecipazione a un corso di formazione o riqualificazione professionale obbligatori per i percettori del Reddito, pena la decadenza;
  • incremento dei controlli e nuovi incentivi per la ricollocazione dei percettori di RdC.
  • Per i componenti delle famiglie non ritenuti occupabili nulla cambia fino a tutto l’anno in corso; il RDC cessa il 31 dicembre e dal 1° gennaio 2024 gli ex beneficiari potranno fare richiesta di Assegno di inclusione di durata 18 mesi, rinnovabili;
  • per quelli occupabili il 31 luglio 2023 il RDC  è cessato e, se non già prese in carico  dai servizi sociali in percorsi di formazione o orientamento, dovranno richiedere il Supporto formazione e lavoro.

Si riscontra in questa suddivisione la presenza di un’anomalia che sarà opportuno rivedere in seguito. Stabilire l’occupabilità o la non occupabilità sulla base di criteri precostituiti che prescindono dalle attitudini e dalle capacità dei singoli, ma si basano solo sulla composizione della famiglia può condurre ad esiti arbitrari.

Il reddito di cittadinanza poteva essere utilizzato per tutte le spese che non fanno parte dell’elenco dei beni vietati. Non solo acquisti di prima necessità quindi, ma qualsiasi bene o servizio che non risulta nella suddetta lista. Così sarà per il nuovo Assegno di inclusione.

Diversa è la funzione della  nuova social card “Dedicata a te” l’aiuto una tantum fornito dal governo per acquistare beni di prima necessità. Tutti coloro che hanno un Isee entro i 15mila euro e non ricevono già sussidi pubblici (come la Naspi o il Reddito di cittadinanza) arrivano 382,5 euro per fare la spesa. Attenzione, però: non tutti i beni di prima necessità saranno acquistabili al supermercato. La lista dei generi alimentari della nuova carta si compone di 23 voci, con l’esclusione di tutte le altre centinaia di merci non elencate e che pure rientrano tra i consumi essenziali delle famiglie.

L’imposizione di un elenco di beni acquistabili con la carta non è una novità. È già successo con quella su cui era caricato il Reddito di cittadinanza, che permetteva il prelievo di un importo mensile in contanti e destinava la quota nettamente prevalente del sussidio all’acquisto di una tipologia ben definita di merci. Anche l’importo caricato sulla carta acquisti del reddito di inclusione del governo Gentiloni poteva essere prelevato solo in parte in contanti. Ma ora “Dedicata a te” permette di fruire unicamente di prestazioni in natura, per di più con una ristretta possibilità di scelta. Come ha scritto Raffaele Lungarella su La Voce.info, l’obbligo, per il titolare della carta, di rifornirsi gratuitamente solo di alcune merci e non di altre ha anche l’effetto di distorcere il sistema dei prezzi relativi, che in un mercato concorrenziale garantisce un’efficiente allocazione della spesa tra beni e servizi alternativi. Ecco perché – sostiene Lungarella –  “Dare un aiuto, costringendo chi lo riceve a utilizzarlo solo per acquistare merci comprese in una lista ristretta di beni, scelti più o meno arbitrariamente dell’autorità pubblica che finanzia quella specifica azione, può essere interpretato come una forma di paternalismo autoritario. L’aiuto in natura elimina sostanzialmente ogni libertà di chi lo riceve, comprimendo tanto più le sue possibilità di scelta quanto più corta è la lista dei beni messi a disposizione”.

Giuliano Cazzola: