In principio fu l’ex presidente della Federcalcio, Carlo Tavecchio, a gettare benzina sul fuoco di un incidere di razzismo che, puntualmente, si verificava negli stadi italiani. Non certo una bella immagine per chi il razzismo negli stadi lo doveva combattere. La sua, quella di Tavecchio, fu un’uscita infelice, ma a sfondo razzista. Banane & pallone. Ma la storia, negli ultimi anni, non è cambiata, perché di episodi a sfondo razzista, sono piene le nostre domeniche. Nell’ultimo turno, altre due gare momentaneamente fermate, all’Olimpico e a Verona, ma dai toni decisamente diversi. A Roma Rocchi ha fermato (giustamente) Roma-Napoli per cori contro la città partenopea: discriminazione territoriale, subito bloccata dalla gran massa della Curva Sud che, incitata da Edin Dzeko, ha preso a intonare cori di chiaro stampo giallorosso.
Diversa la situazione di Verona, dove Mario Balotelli ha scagliato un pallone contro la curva scaligera, stanco di quei cori che offendevano l’uomo e il colore della sua pelle. Cosa ancor più grave che sia il presidente del Verona, Setti, che il tecnico Juric, hanno parlato di uno sparuto manipolo, una ventina. Tesi confermata dalla Procura Federale che ha indagato e confermato che a partecipare all’asta del razzismo, erano stati in pochi. Al danno, si aggiunge la beffa, e stridono per parole di Juric e Setti, che in un certo qualmodo “bacchettano” Balotelli per una presa di posizione forte rispetto al contesto della gara. Ma stiamo scherzando?, aggiungiamo. No, c’è poco da ridere. Follia di esseri umani che non hanno capito, e mai capiranno, che razza e colore della pelle non debbono essere il pretesto per alimentare sentimenti che non sono italiani. Perché l’Italia non è un Paese razzista. Esclusi i fomentatori di odio che però non si riesce a fermare. Ci sono riusciti all’estero, dove le pene sono estremamente severe.
In Italia, a dire il vero, è partita mesi fa la nuova frontiera della lotta al razzismo, su proposta lanciata dalla Federcalcio. C’è stato un nuovo consiglio federale ed inevitabilmente il tema era al centro del dibattito anche se non all’ordine del giorno, semplicemente perché la linea dura adottata dal presidente Gravina è stata varata il primo ottobre, venendo in un certo senso incontro alle società. Non più la responsabilità oggettiva dei club, ma club responsabilizzati a collaborare con la giustizia federale per una azione preventiva e poi individuare i singoli responsabili dei cori, indipendentemente da quanti siano, e allontanarsi a vita dagli stadi. Esattamente quello che ha fatto la Roma, sottoponendo a provvedimento di daspo a vita un tifoso giallorosso che aveva rivolto insulti razziali sui social all’indirizzo del difensore Juan Jesus. Si parla, e si parlerà a breve, di introdurre radar sonori negli stadi da abbinare al riconosciuto facciale. Esattamente quello che avviene in Inghilterra. L’obiettivo è quello di usare le telecamere ai tornelli d’ingresso e nei settori per individuare i responsabili, a livello disciplinare, di simili comportamenti. Più complesso il radar sonoro, strumento adottato dall’antiterrorismo, che servirà a capire chi e quanti siano i “partecipanti” alla gara razzista. Probabilmente questo strumento verrà sperimentato a Palermo in occasione di Italia-Armenia, ultima delle qualificazioni europee. Per ora, rimane la sgradevole sensazione che ha provato Mario Balotelli, sperando che quello di Verona sia l’ultimo episodio. Bisogna darsi una calmata, tutti, perché ululati e parole, fanno male. Terribilmente male.