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Rating dell’Italia: perché è importante per l’economia e per la politica

Foto di Tumisu da Pixabay

È tempo di analisi e di giudizi, come ogni anno arriva il momento in cui le agenzie di rating si esprimono sulla solidità di aziende e stati e, immancabilmente, parte il tam tam mediatico sullo stato dell’Italia. Come per lo spread, anche il rating del Paese viene, spesso, cavalcato a livello politico e rientra, spesso, nei discorsi, non dico da bar ma da “piazza social”, di molti commentatori, il più delle volte senza sapere esattamente di cosa si tratti.

Se si inquadrasse il concetto di rating si vedrebbe che non ha, direttamente, a che fare con la capacità di produrre reddito, con l’azione di governo tout court e con lo stato dell’economia interna ma con la mera solvibilità delle obbligazioni in essere, quindi, nel caso di uno stato sovrano, con la dinamica del debito pubblico; ovvio che i parametri sopra indicati siano fondamentali nell’elaborazione del giudizio, perché vanno a influire direttamente sulla sostenibilità del debito, ma la sintesi, anche se non positiva, non dà un giudizio su di essi.

Perché questa attenzione sul “voto” dato all’Italia che si posiziona al livello (notch, se si voglia usare la dizione inglese esatta) più basso del grado di investimento per Moody’s e un livello più in alto per S&P e Fitch? La domanda sembra quasi ingenua, poiché la risposta è “per l’elevato stock di debito” ma questo ha delle ripercussioni molto importanti a livello sia di politica economica sia, indirettamente, di produttività del sistema.

Al di là della vulgata mediatica, se si eccettuassero gli anni dei governi a guida Conte e flagellati dalla pandemia, non si può negare che la gestione dei conti italiani sia sempre stata piuttosto prudente, almeno nell’ultimo quarto di secolo, tanto che si è parlato più volte di saldo primario, cioè del risultato di bilancio prima del pagamento degli oneri sul debito pregresso, attivo ma il costo degli interessi sul debito accumulato principalmente tra gli anni 80 e la fine della Prima Repubblica, ha spinto fin troppo spesso il risultato di esercizio finale in negativo, obbligando all’emissione di nuovo debito non solo per rifinanziare quello pregresso o per investimenti ma per coprire le passività finali di ogni anno. Questo ha portato a una crescita continua dello stock di debito fino a livelli record, toccati nell’ultimo anno del governo Conte, e che, adesso, gradualmente sta rientrando.

In verità, da inizio secolo, due governi riuscirono nell’impresa di riportare il debito sotto il valore pari al 100% del PIL, che avrebbe potuto essere prodromico a una “normalizzazione” della finanza pubblica, si tratta del governo Berlusconi bis nel 2004 e il Governo Prodi bis nel 2007, ma fu una situazione assai precaria che durò pochi mesi, tanto che a fine anno nel 2004 il debito arrivò di nuovo al 105% del Pil e nel 2007 al 104%.

L’instabilità politica e il clima da campagna elettorale permanente, infatti, ha sempre impedito di portare a terra progetti di lungo respiro per stabilizzare il debito e far ripartire l’economia a livelli sufficienti a imboccare un sentiero virtuoso di crescita e rientro dall’esposizione e questo è quello che più ha pesato, in questi anni, sul giudizio da parte delle agenzie di rating che è passato dai livelli più alti (fino al 2011 il Paese ha mantenuto un giudizio A, quindi tra i più elevati, per tutte le agenzie) al livello attuale che, seppur ancora positivo, si trova a un passo da quel livello, cosiddetto, speculativo che creerebbe non pochi problemi al rifinanziamento del debito, fosse anche per il costo richiesto.

Per questo il giudizio delle agenzie è così importante sia per la politica sia per l’economia, poiché, spesso, il rating paese funge da cap sui rating delle aziende che vi operano, comprese quelle internazionalizzate, e una bocciatura di Roma porterebbe anche queste a doversi rifinanziare sul mercato a prezzi ben più elevati. Contrariamente a molte previsioni delle Cassandre mediatiche, però, è arrivata la prima promozione da parte di S&P che ha confermato il rating attuale del Paese a BBB con outlook stabile, quindi due livelli sopra il limite critico tra livello di investimento e livello speculativo.

In verità una valutazione positiva, o quanto meno non negativa, era facile aspettarsela poiché questo governo, finanziariamente, si sta muovendo con molta cautela e poche “mance elettoralistiche” e se non si è penalizzato l’esecutivo dei bonus e del deficit, che ha pure tentato di creare una “moneta fiscale” parallela all’euro con la cessione senza limiti dei crediti fiscali da bonus edilizi, nel periodo di crollo verticale dell’economia dovuto alle chiusure e limitazioni messe in atto per arginare il rischio pandemico, perché penalizzare chi sta governando in un periodo di ripresa economica e che, nonostante tutto, sta lavorando pesantemente sulla sostenibilità della finanza pubblica?

L’aumento degli oneri legati al debito, direttamente influenzati dall’aumento dei tassi da parte della BCE, è certamente un punto a sfavore, visto lo stock di titoli di stato in essere sul mercato (a oggi pari a circa il 143% del PIL in calo dai massimi del 155% nel 2020) però i rincari sono applicabili solo alle nuove emissioni e il costo medio del debito è previsto per circa il 4,1% del PIL per il 2024 anche se, va ricordato, l’inflazione aiuta a mitigarne il peso, tanto che, tutt’oggi, l’Italia paga interessi reali negativi sullo stock di debito.

Detto questo, cosa aspettarsi dalle prossime scadenze sui giudizi delle principali agenzie di rating che mancano? Difficilmente Moody’s o Fitch si muoveranno in maniera diversa da S&P, sebbene la prima abbia già espresso in passato, un rating inferiore alle due principali concorrenti, perché non si è verificato ancora nessun vero e proprio deterioramento dei fondamentali che potrebbero rendere critica la tenuta del debito pubblico.

Se, dopo dieci rialzi consecutivi, la banca centrale ha raggiunto il livello massimo dei tassi di interesse, comunque oggi al rango più elevato nella storia della moneta unica, visto anche la decisione di mantenerli inalterati durante l’ultima riunione del board è credibile che, lentamente, potrebbero iniziare a calare per via della situazione geopolitica contingente che potrebbe creare non poche tensioni sui mercati e un ulteriore inasprimento della politica monetaria potrebbe generare gli effetti distorsivi che già di videro nel 2011 quando fu proprio l’azione della BCE a peggiorare la crisi economica che stava attraversando il continente.

Di fronte a questa prospettiva e valutata la resistenza del sistema Italia che ha saputo attraversare i peggiori sconvolgimenti sui mercati negli ultimi 30 anni senza contraccolpi eccessivi e, soprattutto, progredire (seppur di poco) con un apparato statale e politico, mediamente, avverso a impresa e crescita, è abbastanza evidente che ci possano essere dei segnali positivi sul futuro che, al momento, compensino gli elementi negativi che vanno a compromettere il giudizio sul debito in essere.

Matteo Gianola: