Secondo un consolidato schema di gioco, frutto della consuetudine, la partita delle nomine Rai doveva essere la più semplice. Arrivando al termine del giro del valzer delle poltrone, che va in scena ogni qualvolta s’insedia un nuovo governo, le tensioni e le fibrillazioni dovevano già essere esaurite. Non solo. Essendo il Risiko di Viale Mazzini il processo di lottizzazione per antonomasia, le caselle, una volta trovati i nomi, si riempiono da sole. Invece, strano ma vero, sta accadendo l’esatto contrario. Nonostante l’impegno assunto dalla maggioranza e le reiterate affermazioni di principio fatte dai ministri, grazie alle quali il consiglio di amministrazione è già stato nominato, nel palazzone romano le porte girevoli sono ancora ferme. Amministratore delegato e presidente del Cda sono ancora un nodo da sciogliere. E le ante modello saloon sono ancor più immobili a Saxa Rubra, la cittadella operativa della tv pubblica, dove tutti aspettano di capire quale sarà il proprio futuro. Dai direttori dei telegiornali in poi tutte le poltrone sono mobili come navi, pronte a salpare o a gettare l’ancora.
“Per la Rai stiamo cercando di scegliere le persone migliori, sganciate da logiche di partito. Ci saranno belle persone”, ha ribadito per l’ennesima volta il vicepremier e ministro dell’Interno, Matteo Salvini a margine di un'audizione al Senato, sulle nomine in Rai. Un modo molto politichese per dire che l’intesa con l’alleato grillino ancora non è stata trovata. Tanto che il neo presidente della Commissione di Vigilanza sulla Rai, l’azzurro Alberto Barachini, ha subito alzato la voce: “Chiederemo l’audizione dei ministri Tria e Di Maio e chiederemo il rispetto delle regole”. Delle vecchie regole, viene voglia di chiosare, dato che il nuovo governo ha intenzione di seguire un percorso personale, in modo da togliere le mani della politica dalla Rai. Come è avvenuto sino a ieri, tanto che gli esponenti della vecchia maggioranza gridano già allo scandalo. Che poi, a essere onesti, quali le vere regole del gioco? Quelle in base alle quali la politica sceglie chi mandare a Viale Mazzini in modo tale da avere una sorta di mouse da muovere a proprio piacimento oppure quelle del mercato, faro della nuova maggioranza, che predilige il merito e non la casacca?
Il tema, come s’intuisce, è particolarmente importante se si vuole decifrare il futuro della Rai. Al di là di ciò che va in onda, l’emittente pubblica è in ritardo rispetto alla concorrenza su molti fronti. Le troppe energie spese dai management che si sono succeduti in questi anni, tranne la parentesi Campo Dall’Orto che ha provato a fare il contrario, nell’assecondare la politica, hanno tolto fiato all’azienda nel proporre nuovi linguaggi televisivi, finendo con l’essere sempre e solo il clone di se stessa. Il tentativo proposto dal nuovo governo e dalla maggioranza che lo sostiene è quello di superare questo schema. Che poi ci riesca è tutto da vedere. Ma solo dopo la scelta dei vertici e l’analisi delle prime scelte potremo capire qualcosa. Non prima. Del resto quando Salvini sostiene che stanno cercando le persone migliori non dice il falso. Solo che di Marchionne della tv, e questo vuole essere un modo per ricordare l’uomo e il manager, non ce ne sono molti in vista. E quei pochi sono frenati dal tetto ai compensi, altro frutto amaro, tanto inutile quanto demagogico, prodotto dal vento dell’antipolitica. Un’Azienda con 13 mila dipendenti, capace di orientare l’opinione pubblica, non può essere trattata come una qualunque televisione. Nessuno punta alla destrutturazione delle regole ma è anche vero che di troppe briglie e legacci si può morire. Dunque la Rai, mai come questa volta, rappresenta un’occasione storica per il nuovo governo e la sua maggioranza. Un’occasione da non fallire. Nonostante le consuetudini e le regole, vecchie e nuove, del gioco di Viale Mazzini…