Una qualsiasi guerra, ovunque la si guardi, non fa prigionieri, ma lascia dietro di sé vittime e macerie. La guerra politica ha colori infiniti, perché le verità sui conflitti sono come gli argini di un fiume, pronto ad esondare alla prima pioggia di una certa consistenza. In occasione dei Giochi Olimpici di Tokyo avevamo espresso il nostro dissenso alla mancata partecipazione degli atleti russi, perché un atleta, che fa sacrifici per quattro lunghissimi anni per poter prendere parte all’avvenimento principe a livello mondiale, non può essere subordinato ai colori della guerra.
Detto e fatto. Il Cio, Comitato Olimpico Internazionale, ha ripensato proprio ai principi che animano l’Olimpiade, quella legata all’amicizia e alla fratellanza tra i popoli, perché lo sport aggrega e non divide. Perché ad un atleta che sogna i Giochi o una qualsiasi altra manifestazione internazionale, non si può impedire di partecipare solo perché il suo Paese è in Guerra. Fosse così, dovremmo fermare il mondo, viste le tante guerre in atto. Due pesi e due misure, perché agli atleti russi è stato impedito di partecipare a mondiali, europei e coppe europee.
Obiettivamente non è questo il senso del contendere. Il Cio ha ripensato il tutto e ha deciso che gli atleti di nazionalità russa e bielorussa, che si qualificano nei rispettivi sport per le prossime Olimpiadi di Parigi, potranno partecipare. Ma solo come neutrali, senza bandiere e, in caso di vittoria, senza ascoltare l’inno del proprio Paese. Si chiamano AIN, Atleti Individuali Neutrali. Chi si qualificherà nelle varie discipline, sarà dichiarato idoneo a partecipare a Parigi 2024.
“Gli Atleti Neutrali Individuali sono atleti con passaporto russo o bielorusso su cui verranno applicate le rigorose condizioni di ammissibilità basate sulle raccomandazioni emesse dal Cio il 28 marzo 2023 per le federazioni internazionali e gli organizzatori di eventi sportivi internazionali”, si legge nella nota emanata dal Comitato Olimpico Internazionale. Un passo in avanti, ma che ugualmente intristisce l’atleta, dove ci sono quelli di serie A e quelli della categoria inferiore. Normative dettate dalle situazioni perché ci sono discipline, come il tennis o il ciclismo, dove gli atleti russi e bielorussi continuano a partecipare senza alcuna limitazione. Al momento in cui scriviamo, sono soltanto 11 gli Atleti “neutrali”, mentre l’Ucraina, l’altra faccia della guerra, al momento ne conta oltre sessanta.
Disatteso totalmente il principio che lo sport è fratellanza. Maledetta guerra che continuano a farsi Putin e Zelensky, i due attori protagonisti di un film senza fine. Ma a nostro parere, la guerra, da bandire da qualsiasi posizione la si vede, non è soltanto politica. Lo è per gli attori che la mettono in atto, ma è anche discriminazione per le persone. A Mosca la maggior parte dei russi è contrario alla guerra, c’è chi è ancora in carcere per aver protestato contro Putin e l’invasione dell’Ucraina. Mettere alla porta la Russia dai campi sportivi, significa allontanare i giovani da quello che è il veicolo che anima lo sport, ovvero la passione. Ragazzi che lavorano, sudano per vincere una medaglia, soffrono per inseguire un sogno, che rimane nel cassetto, frantumato sul nascere dai giochi di potere della politica.
A Tokyo, l’immagine più bella è stata l’abbraccio sul podio tra un atleta russo e uno ucraino. Mai nemici, fratelli di sport, di vita e di passione, e che alla guerra non hanno mai pensato. La guerra non sarà fermata mai da un abbraccio sul podio, anche perché Putin e Zelewski hanno altro cui pensare, non certo allo sport, ma quell’abbraccio è la testimonianza certificata, che lo sport unisce e non divide. Ecco perché le tante restrizioni, sono una sconfitta per chi ama lo sport e butterebbe volentieri a mare la guerra. Non dipende da loro. Il Cio ha messo una pezza, perché non c’è solo la guerra tra Russia e Ucraina a preoccupare il mondo. Ma i penalizzati sono solo gli atleti russi. De Coubertin da lassù, non sarà certo felice.