Di questi tempi bisogna porsi una domanda: qualcuno si sta occupando della nostra industria? Autorevoli governanti affermano che con i propositi di accorciare i tempi del pensionamento, di elargire il reddito a chi non l’ha, di assunzioni nella Pubblica Amministrazione ed altre provvidenze di redistribuzione, si potranno garantire spinte per l’economia, facendo leva sui consumi.
Queste misure, come dovrebbe sapere il ministro Tria, possono avere certamente quest’effetto, ma alla sola condizione, (soprattutto per chi ha un debito pubblico altissimo) di avere sotto controllo e in efficienza ogni caposaldo che porta la crescita del reddito nazionale, in base a quello che riusciamo a vendere nel mercato interno e in quello internazionale.
I consumi interni, come si sa, vanno male a causa delle tasse eccessive che pesano sui salari e sulle pensioni. La flat tax sarebbe stato un provvedimento utile in questo senso, ma dopo un inizio promettente ci è stato bruscamente annunciato che se ne riparlerà non si sa quando. Eppure essa non solo avrebbe giovato all'attuale maggioranza – alla spasmodica ricerca di consensi – ma avrebbe aiutato considerevolmente famiglie e imprese.
L’industria edile, in tutte le economie, viene utilizzata come volano per sostenere il Pil, con la costruzione di abitazioni e opere pubbliche e con le manutenzioni. Ma questo comparto così essenziale ha subito colpi sempre più dolorosi: case oberate da crescenti tasse, opere pubbliche e manutenzioni non sostenute dall'erario, per la crescente opposizione anti cemento. Per avere idea della decisività dell’uso anticiclico dell’edilizia nell'economia, basti elencare i tanti settori industriali che vengono coinvolti nelle opere: il ferro, l’acciaio, il legno, i laterizi e ceramiche, materiali elettrici e idraulici, cemento, plastiche e vetro, ed ancora tanti altri.
Un proverbio francese descrive molto bene la strategicità del settore, che poggia sull’insieme delle produzioni prima elencate: “Quand le batiment va, tout va”, quando l’edilizia va tutto va. Si spera ora che almeno sulla scia del clamore drammatico provocato dal crollo del Ponte Morandi e da quello di palazzi, strade nazionali, provinciali e comunali (per la gran parte non manutenute da tempo) si apra una stagione nuova.
C'è poi il manifatturiero che, nonostante gli spiragli di ripresa nel periodo 2015-2017, nell’ultimo anno ha subito cedimenti. Ad esempio nel 2017, il valore aggiunto conquistato dagli italiani nelle manifatture (+3,8) è stato superiore a quelli di Germania (2,7) Regno Unito (2,3) e Francia (1,7). Tuttavia dalla fine dello scorso anno, venendo meno il vantaggioso costo del petrolio e una congiuntura favorevole dei mercati internazionali che hanno favorito i prodotti Made in Italy, si sta registrando un calo del valore aggiunto, che coinvolge in qualche modo anche i nostri concorrenti europei. Considerato che dalle manifatture traiamo buona parte del Pil, ci si aspetterebbe che il Governo investisse in modo importante nel settore.
Non abbiamo scelta, dobbiamo trarre maggiore vantaggio dall'industria, e arrivare in tale modo ad un equilibrio più sostenibile tra ciò che guadagniamo è quello che spendiamo. Speriamo che in questi tempi contraddittori per la nostra nazione, si possa fare tesoro del concetto che espresse Cicerone nel 55 aC. Così il grande oratore ammoniva i romani, evidentemente soggetti alle nostre stesse preoccupazioni, indicando i comportamenti più appropriati per ottenere la buona economia: “La finanza pubblica deve essere sana; il bilancio in pareggio; il debito pubblico ridotto; la popolazione deve imparare a lavorare invece di vivere di sussidi pubblici”.