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Quando la violenza verbale entra nel giornalismo

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Il giornalismo deve prendere le distanze da ogni forma di violenza, anzi deve denunciarla ogniqualvolta essa viene espressa. Il giornalismo, difatti, nasce prefiggendosi una missione di elevato valore etico, in quanto pone a fondamento del suo operare la finalità di trasmettere le notizie ed i fatti della vita quotidiana, della vita delle Istituzioni, della vita sociale, della storia umana, in modo neutrale ed indipendente, nel pieno rispetto delle leggi che salvaguardano la dignità umana. Purtroppo, non si può non prendere atto del progressivo decadimento nella volgarità della modalità espressiva di alcuni giornali e di alcuni personaggi che guidano o partecipano a programmi televisivi, che testimonia un grave fenomeno, ormai sempre più dilagante, ossia l’impoverimento morale di alcuni ambiti della vita contemporanea, ritenuti depositari, da sempre, dello sviluppo culturale di una nazione.  

Dispiace vedere coloro i quali sono considerati portatori di conoscenza e di cultura elevata fare proprio un linguaggio improntato alle offese e alle parole volgari. Molto spesso, difatti, alcuni personaggi noti del giornalismo contemporaneo etichettano gli altri con epiteti o esprimono volgarità come “vaffa…”, che sostituiscono la parola dialogante e costruttiva che consente il confronto civile e non bellicoso con gli altri. C'è da chiedersi, pertanto, quale messaggio giunge ai bambini, ai giovani, alle donne, agli uomini, alla società civile. Nell'epoca attuale, pervasa da varie forme di violenza, si fa sempre più strada la violenza morale, trasmessa anche da alcuni esponenti della comunicazione mediante il turpiloquio, l’offesa, l’arroganza verbale, la definizione degli altri in modo offensivo. Dilaga il bullismo, nelle scuole, nella società civile e si diffonde anche nell'ambito dei professionisti della comunicazione, ossia i giornalisti. Per fortuna sono pochi a testimoniare la decadenza di tale nobile attività. Siamo nell'epoca del pensiero superficiale ed è difficile definire il concetto di “cultura”. Certo non può definirsi cultura l’arroganza, l’offesa, il turpiloquio, gli scontri  verbali da trivio, di coloro che si vantano di rappresentare la “cultura”. Non sarà certo tale forma di giornalismo ad avere la meglio. Anzi, è già stata sconfitta da una nuova forma di comunicazione che veicola la solidarietà, la necessità di intessere relazioni umane, improntate alla crescita reciproca e sociale, all'emancipazione morale, che vede nell'altro non un nemico da abbattere, ma un amico con cui condividere ogni spazio della vita umana, perché essa diventi una realtà ospitale che genera benessere e amore senza condizioni.

Biagio Maimone: