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Quale sistema fiscale per il dopo pandemia?

Nel discorso sulla fiducia al Senato, Mario Draghi dedicò uno spazio significativo, nell’elencare le riforme del PNRR, alla questione fiscale. Dopo aver premesso che gli interventi riformatori non possono essere fatti a pezzi, volle indicare nel caso del fisco l’esempio di un diverso modo di procedere. “Non bisogna dimenticare che il sistema tributario è un meccanismo complesso, le cui parti si legano una all’altra. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta. Un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli’’.

Proseguendo sottolineò che ‘’le esperienze di altri Paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta. Ad esempio – ricordò – la Danimarca, nel 2008, nominò una Commissione di esperti in materia fiscale. La Commissione incontrò i partiti politici e le parti sociali e solo dopo presentò la sua relazione al Parlamento. Il progetto prevedeva un taglio della pressione fiscale pari a 2 punti di Pil. L’aliquota marginale massima dell’imposta sul reddito veniva ridotta, mentre la soglia di esenzione veniva alzata’’.

Sembrò la conferma della solita quadratura del cerchio che si evoca quando si parla di problemi fiscali: meno tasse maggiori entrate. ‘’Un metodo simile – ecco emergere il professore – fu seguito in Italia all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso quando il governo affidò ad una commissione di esperti, fra i quali Bruno Visentini e Cesare Cosciani, il compito di ridisegnare il nostro sistema tributario, che non era stato più modificato dai tempi della riforma Vanoni del 1951. Si deve a quella commissione l’introduzione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e del sostituto d’imposta per i redditi da lavoro dipendente’’.

Poi  Mario Draghi tornò a riferirsi a questioni di carattere generale. ‘’Una riforma fiscale segna in ogni Paese un passaggio decisivo. Indica priorità, dà certezze, offre opportunità, è l’architrave della politica di bilancio’’. Di lì uno zoom su di un caso concreto: ‘’In questa prospettiva va studiata una revisione profonda dell’Irpef con il duplice obiettivo di semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività. Funzionale al perseguimento di questi ambiziosi obiettivi sarà anche un rinnovato e rafforzato impegno nell’azione di contrasto all’evasione fiscale’’.

A riflettere su queste parole – dopo una cinquantina di giorni da quando furono pronunciate – ci si accorge che è difficile anticipare quali proposte diverranno operative nel PNRR e nei provvedimenti che dovranno darvi attuazione. Del resto, un grande aiuto non viene dalle elaborazioni del Conte 2 che nella prima stesura del PNRR – quella ora sottoposta a revisione prima di inviare il Piano a Bruxelles con una spedizione fuori-sacco – aveva più o meno ribadito i soliti concetti. “Il prossimo passo consisterà in una riforma complessiva della tassazione diretta e indiretta, finalizzata a disegnare un fisco equo, semplice e trasparente per i cittadini, che riduca in particolare la pressione fiscale sui ceti medi e le famiglie con figli e acceleri la transizione del sistema economico verso una maggiore sostenibilità ambientale e sociale. Nell’ambito della riforma saranno anche razionalizzate le spese fiscali e, in particolare, saranno rivisti i sussidi ambientalmente dannosi (SAD), in base agli esiti dei lavori della Commissione Interministeriale istituita con la Legge di Bilancio per il 2020. Al contempo, le scelte fiscali  – proseguiva  il testo – dovranno supportare la politica industriale nel processo di riconversione successivo alla crisi sanitaria e accompagnare il cambiamento anche in senso sostenibile, agevolando le produzioni in quei settori dove l’emergenza epidemiologica ha evidenziato una carenza produttiva a fronte di una evidente necessità per gli approvvigionamenti nazionali’’.

Insomma si intravvedono alcune linee generali che attengono ai rapporti tra le imposte dirette e quelle indirette, alla promozione di posti di lavoro e al sostegno di nuove politiche ambientali attraverso l’uso di nuove tecnologie e adeguati processi produttivi. Ma in una situazione come l’attuale è credibile che una riforma fiscale con le caratteristiche di quelle conclamate possa emergere dal caos come Athena dalla testa di Zeus? Esiste ancora un sistema fiscale da quando la gestione della pandemia ha, di fatto, rinviato il pagamento delle imposte attraverso una serie di proroghe che hanno accumulato adempimenti che per la loro dimensione sono destinati a divenire tanti ‘’pagherò a babbo morto’’?

Nel varo del decreto Sostegni sono emersi i primi screzi tra le forze della supermaggioranza proprio sulle questioni fiscali, segnatamente sulle misure di condono. La vera regione di questo provvedimento però è stata un’altra: l’impossibilità materiale di riscuotere. In sostanza, non c’è solo il fenomeno dell’evasione (evocato come il Maligno), ma anche una difficoltà operativa ad incassare quanto viene accertato. C’è sempre poi qualche invenzione di nuove imposte. Si parla adesso di tassare i superprofitti sulla base di una motivazione che sembra più etica che economica. Si dice che, durante la pandemia, vi sono stati settori che hanno visto un forte incremento dei loro ricavi (tra cui Amazon, il nuovo ‘’nemico di classe’’) proprio perché non hanno subito provvedimenti di chiusura e di restrizioni. In sostanza dovrebbero essere questi settori a pagare il fio di misure che ne hanno colpito altri. E’ pur vero d’altra parte che senza il contributo dei settori produttivi e tecnologici che hanno fatto importanti ricavi con le loro attività durante la pandemia, il Paese non avrebbe retto gli effetti economici e sociali della crisi sanitaria.

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