Era il 1979 quando Stephen King pubblicava il romanzo The Long Walk, qui tradotto letteralmente in la Lunga Marcia. Nelle pagine del racconto, l’autore racconta un futuro distopico dove, una volta all’anno, cento giovani si sfidano in una lunga competizione podistica con la prospettiva di vincere, tagliando il traguardo finale a Boston o per eliminazione degli altri concorrenti, o morire, in caso non si riuscisse a mantenere il ritmo di cammino delle 4 miglia orarie. Il vincitore (o l’unico superstite) avrebbe, poi, in premio la realizzazione di ogni suo desiderio vita natural durante.
Nel caso si voglia essere un po’ maligni, si potrebbe scorgere, in questo, il “cammino” stabilito dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per ottenere i fondi stanziati con il fondo Next Generation EU.
La prima “rata” è stata richiesta dal Governo italiano a fine dicembre scorso, dopo che i primi 51 traguardi stabiliti dal PNRR sono stati raggiunti, e per accedere alla seconda di oltre 24 miliardi sarà necessario raggiungere i 45 obiettivi fissati per il primo semestre di quest’anno, una lunga marcia a tappe appunto.
Non credo che sia opportuno procedere con una mera lista dei risultati da ottenere entro giugno ma direi sia interessante focalizzare il punto sulle aree tematiche più impattate come ambiente e sviluppo economico che, nonostante una certa vulgata decrescita di questi ultimi anni, sono altamente interconnesse.
Non è un mistero che una maggiore tutela ambientale non possa che andare di pari passo con lo sviluppo economico; se non si volesse tornare in età preindustriale, infatti, solo lo sviluppo tecnologico potrebbe garantire una maggiore compatibilità ambientale della crescita economica.
Questo è l’elemento centrale del ragionamento che, sembrerebbe, essere anche il punto di arrivo dei progetti stabiliti per il PNRR in sintonia con una mutata sensibilità a livello europeo.
È evidente, infatti, che per poter raggiungere i traguardi relativi alle misure ambientali occorra spingere sull’acceleratore dello sviluppo, da una parte per creare quelle tecnologie e quel know-how necessari a garantire la transizione da un sistema relativamente inquinante a un sistema eco-sostenibile e dall’altra a creare le risorse per pagare gli interventi necessari.
In molti, quando parlano di investimenti per la sostenibilità ambientale delle attività dimenticano il piccolo particolare del conto finale da pagare, questo non potrà mai essere a carico dello stato o dell’UE poiché, come affermò un tempo Margaret Thatcher “Non esistono i soldi pubblici o dello Stato, solo i soldi dei contribuenti. La tassazione è la principale fonte di entrate per lo Stato pertanto quando si chiede maggiore spesa pubblica si chiede di aumentare le tasse”. Il piano NGEU e l’attuazione italiana rientrano perfettamente in questa fattispecie di eventi.
Quando, mesi fa, l’ex Premier Giuseppe Conte diceva di aver ottenuto 81mld a fondo perduto e 127mld a tasso agevolato stava comunicando una mezza verità: mentre i secondi dovranno essere restituiti secondo un preciso piano di ammortamento fino ad azzerare la posizione, come per i titoli di stato, per via erariale anche i primi dovranno essere finanziati attraverso maggiori entrate fiscali per sostenere i trasferimenti verso Bruxelles.
Per evitare che tutto questo si trasformi in maggiore pressione fiscale, quindi, è necessario che la base imponibile si allarghi e l’unica maniera di farlo è rilanciare l’economia affinché cominci a crescere a tassi sostenuti. Questo permetterebbe di ottenere un maggiore gettito per le casse dello stato con il duplice beneficio di avere più risorse per gli investimenti pubblici e la capacità di sostenere e, si spera, ridurre il debito pregresso oltre che rispettare gli obblighi di contribuzione al bilancio dell’Unione.
La ricetta per sbloccare la crescita che, in questi ultimi decenni, è stata latitante nel Paese è nota da sempre: minore e migliore spesa pubblica, minori blocchi burocratici e maggiore libertà economica, d’impresa e professionale.
Detta in questo modo sembra semplice ma così, come tutti sappiamo benissimo, non è e, spesso, sembra la lotta contro i mulini a vento di Don Chisciotte, dovendosi scontrare con interessi corporativi, ormai quasi fossilizzati nella società, e con un certo clientelismo tipico della politica, particolarmente palese in certe zone d’Italia ma presente anche altrove, ovunque, seppur in maniera più discreta.
Questo è, in effetti, il vero nodo gordiano che l’azione del PNRR dovrebbe sciogliere per poter intraprendere il percorso voluto per il rilancio di tutto il sistema economico nazionale ed è la sfida che è stata lanciata a tutte le fazioni politiche che, come di loro natura, rappresentano gli interessi di parte della loro base elettorale. Purtroppo, in un quadro già di suo complicato, la Legge di Murphy rappresenta una variabile da tener sempre in conto e, oggi, la cosa non è da meno.
Per quanto non grave come quella che si verificò negli anni 70 del secolo scorso, nel 1973 con la guerra del Kippur e nel 1979 con la rivoluzione iraniana, la fine del 2021 e l’inizio del 2022 sono segnati da una reale crisi energetica che ha spinto verso l’alto i costi di energia elettrica e di gas che per il ministro Cingolani potrebbero arrivare a costare ben più dei finanziamenti in arrivo per il PNRR.
Al di là dei venti di guerra in Ucraina, la motivazione di questi rialzi è, oggi contrariamente a quasi 50 anni fa, puramente di mercato e si lega, a livello mondiale, con la ripresa in atto dopo la lunga crisi pandemica ma in Italia è aggravata da almeno trent’anni di scelte populistiche e clientelari a livello di piano energetico nazionale. La dipendenza, nel mix di approvvigionamento, da fonti inefficienti, come le cosiddette rinnovabili, e dall’importazione dall’estero senza nessuna vera strategia per garantire il rifornimento energetico in situazioni di crisi.
A fronte di questo, forse, sarebbe opportuno che a lato dei progetti di digitalizzazione e di sviluppo tecnologico, di valorizzazione del territorio, di tutela ambientale, di sburocratizzazione e di efficientamento dei settori strategici come la sanità e la scuola dovrebbe essere posto un focus ancor più mirato verso un nuovo piano energetico sostenibile che punti a garantire sia l’approvvigionamento energetico sia il taglio dei costi per persone ed aziende, altrimenti si rischierebbe di vanificare un ambizioso progetto di rilancio trasformandolo, di fatto, in un indebitamento eterno.