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La prudenza è necessaria ma in politica occorre il coraggio delle scelte

La Legge di Bilancio per il 2024 ha preso forma ed è stata approvata dal Consiglio dei Ministri il 16 ottobre. Come si era già illustrato in precedenza, parlando della NADEF e alla presentazione della bozza, le linee principali seguite dalla legge, che poi dovrà essere approvata dal Parlamento entro fine anno, sono essenzialmente riconducibili a due macrocategorie: la rimodulazione delle imposte sui redditi unito al taglio al cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti e il sostegno ai nuclei famigliari con ISEE più basso. Le premesse per questa manovra non erano certo buone, con l’economia in rallentamento e il costo del debito pubblico destinato a salire cospicuamente con le prossime aste per via della stretta monetaria da parte della BCE, il sistema economico mondiale traversato dalle crisi belliche in Ucraina, Medio Oriente e dalle tensioni tra Cina e Taiwan con, in più, il buco di bilancio lasciato dall’ “era dei superbonus” che sembra diventare una voragine, ma si è arrivati a una quadra più che accettabile.

Tra la delega fiscale e le previsioni della “finanziaria”, in effetti si comincerà a vedere un reale calo di imposte e oneri, valutando l’ampliamento della no tax area e la rimodulazione delle aliquote IRPEF, che vengono ridotte a tre, e il taglio del “cuneo fiscale”, che arriva fino al 7% per le RAL più basse, da gennaio si cominceranno a vedere de miglioramenti importanti in busta paga. Dal lato del sostegno alle famiglie si prevede un congedo neonatale più lungo anche per i padri e un sistema di sostegno al reddito tra i contributi per il contenimento del caro energia e per l’accesso agli asili nido.

Se a questo si aggiunge la detassazione al 5% dei premi di produzione e l’aumento della soglia de fringe benefits a 2’000 euro per i lavoratori con figli e a 1’000 euro per gli altri, unito al taglio del cosiddetto “canone RAI” da 90 a 70 euro annui e, per le imprese, il rinvio dell’adozione della plastic tax e della sugar tax a metà 2024 più uno specifico credito d’imposta previsto per gli investimenti produttivi nel Sud Italia si configura una manovra economica piuttosto interessante in un periodo non certo facile come questo.

Sono stati messi in campo 24 miliardi di euro di cui 16 provenienti da extragettito e il resto da tagli di spesa che, però, non riguardano né la sanità (per cui è previsto un aumento di 3 miliardi di euro come stanziamento aggiuntivo, oltre ai fondi già previsti per il PNRR) né il pubblico impiego (per cui sono stati stanziati 5 miliardi per il rinnovo anticipato dei CCNL coerentemente con le azioni messe in campo per salvaguardare il potere d’acquisto delle famiglie) e il piano di azione sembrerebbe essere stato approntato in maniera giustamente prudenziale e realistica, senza grandi proclami e concentrandosi solo sulle priorità… ma qualcosa manca.

Contrariamente a quanto siamo stati abituati nel passato non ci sono stati voli pindarici per annunciare questa o quella rivoluzione (poi, solitamente, finita nel nulla, quando andava bene, o in un “bagno di sangue” per i conti pubblici, negli altri casi) ma un lavoro certosino di taglia e cuci per giungere all’obbiettivo prefissato che, però, si configura come una situazione non definitiva: a parte la rimodulazione IRPEF, che è già importante ma non rientra nella Legge di Bilancio, tutti i provvedimenti presi sono transitori, almeno sulla carta, perché a scadenza di qui ad un anno se non rinnovati. In pratica se pur vero ci si stia trovando di fronte a un vero e proprio taglio di imposte sostanziale, forse il primo da che si abbia memoria in questo Paese, è altrettanto vero che questo sia provvisorio, non strutturale e questo è preoccupante.

Sembrerebbe, quindi, che si ratti di una scommessa sulla possibilità di rilanciare la crescita perché questo capitolo non ha adeguate coperture e rischia di spingere ulteriormente il deficit verso l’alto che, automaticamente, si trasformerebbe o in nuovo debito (e non ce lo si può permettere) o nell’innesco delle clausole di salvaguardia, introdotte più di un decennio fa dall’ultimo governo Berlusconi, che prevedono un incremento automatico dele entrate (ad esempio con l’aumento delle aliquote IVA) o riduzione di spesa.

Al di là di queste considerazioni, però, il problema è che il Paese non ha bisogno di una provvisorietà che, poi, diventa permanente con continui rinnovi ricercando disperatamente le risorse per coprirne il costo ma di riforme strutturali sia dal lato del funzionamento della macchina statale (ma non è il compito della Legge di Bilancio) sia della finanza pubblica con una riqualificazione della spesa, prima ancora che da una sua riduzione, che è prodromica per avere un bilancio sostenibile nel lungo periodo senza continuare a ricorrere a nuovo debito o a nuovi balzelli per coprire la spesa corrente.

La politica non è solo responsabilità ma è anche coraggio, quell’audacia di proporre un progetto e una visione del Paese e di portarla avanti per renderlo migliore anche a costo di dover sacrificare qualcosa in termini di consenso immediato. Ecco, forse se si può imputare qualcosa a questa manovra è proprio una certa assenza di coraggio che, però, non è solo della squadra di Giorgia Meloni, sia chiaro, ma sì tratta di una sorta di timore reverenziale verso lo status quo che ha accompagnato tutte le maggioranze che si sono avvicendate in Parlamento almeno negli ultimi 30 anni, probabilmente spinto dal clima di campagna elettorale permanente e dalla continua ricerca di consenso, e che porta all’attuale difficoltà estrema di ristrutturare stabilmente questo stato.

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