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A proposito della supposta “malattia X del Congo”

Foto di Martin Lopez: https://www.pexels.com/it-it/foto/persona-che-mette-una-goccia-sulla-provetta-954583/

La ipotetica attribuzione della malattia X del Congo alla malaria, ci spinge ad alcune considerazioni.

Un posto a sé come patogeno causale di questa supposta malattia, va riservato alla malaria, regina delle malattie infettive con 250.000 casi nel mondo e 700.000morti/anno, specie in bambini con meno di 5 anni. In realtà la malaria è stata “pandemica” fino al XIX secolo, quando nelle regioni temperate l’ambiente è diventato ostile alla diffusione del vettore (zanzara Anopheles).

A proposito dei focolai epidemici di supposta malattia X nella regione Sud Ovest del Congo (con rilievo ad oggi di 900 casi sospetti e circa 150 morti), le autorità sanitarie locali ritengono trattarsi di malaria a spiccata impronta respiratoria. Gli esperti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tuttavia hanno espresso dubbi in proposito: aver trovato l’80% dei casi “positivi alla malaria” potrebbe non essere dirimente. Nelle zone iperendemiche infatti pressoché la totalità della popolazione ammala di malaria almeno una volta e aver riscontrato la presenza di antigeni (con il test rapido immunologico) può indicare anche solo co-infezione e non necessariamente infezione causale. Non sappiamo infatti quanti siano i casi confermati dall’esame microscopico. Quindi i soggetti potrebbero essere solo “portatori” di infezione malarica.

Una interpretazione in favore della malaria è comunque plausibile: le condizioni di malnutrizione della popolazione e la presenza di co-infezioni, in primis con virus respiratori (influenzali, rinovirus, adenovirus, coronavirus, SARS-Cov2 etc.) possono certamente aver agito come fattori aggravanti e letali. In effetti, a seguito di una approfondita indagine sul campo, non è stata riscontrata la presenza di agenti virali o batteri rari o insoliti. La delegazione O.M.S. conclude pertanto, in accordo con le autorità sanitarie locali, trattasi di casi di malaria la cui elevata letalità è presumibilmente da ascrivere all’immunocompromissione legata a malnutrizione grave. Il fatto che il focolaio sia rurale, remoto e difficilmente accessibile e quindi anche difficilmente diffusibile, ha consentito di seguire per oltre 1 mese, con attenzione ma senza eccessiva preoccupazione, i risultati di accurate indagini da parte degli esperti dell’O.M.S.

Il caso ci consegna una lezione: l’importanza di un’attenta sorveglianza dell’emergenza di possibili focolai spia di nuove pandemie e la tempestiva comunicazione di informazioni nei networks epidemiologici internazionali. E’ quanto è mancato nel caso della pandemia di Covid-19.

Venendo alle ripercussioni che il caso malattia X del Congo ha avuto in Italia, interessa piuttosto considerare il ruolo distorto dell’informazione, dettato dall’ansia, che è sempre cattiva consigliera.

Ci riferiamo al potenziale “caso 0” di Treviso. Un signore rientrato con febbre dal Congo, che ha rifiutato cure mediche e ricovero, e che due giorni dopo è stato trovato morto in casa con emorragie dal naso e dalla bocca. Il signore rientrava dalla zona di Kinshasa, oltre 700 km distante dalla regione rurale incriminata. Già questo dovrebbe escludere un rischio epidemico, che presume l’esistenza di un focolaio circoscritto.

Il signore di Treviso è stato semplicemente un caso di “malaria di importazione”, probabilmente con iperparassitemia, non eccezionale e dominabile, se curata in tempo, con i nuovi farmaci disponibili.

Cosa ci insegna questo caso? In realtà nulla di nuovo, semplicemente ribadisce alcuni concetti saldi come rocce: 1) che recarsi in zone malariche iperendemiche, in particolare nella stagione delle piogge e con previsione di viaggi fuori dalle città, senza effettuare una chemioprofilassi corretta, significa quasi certamente contrarre la malaria; 2) che una malaria da P. falciparum non trattata si complica normalmente con malaria cerebrale e porta a morte; 3) che, a differenza di quanto asserito dalla compagna, anche chi è nato e vissuto a lungo nelle regioni iperendemiche, dopo anni di assenza perde la condizione di semi-immunità e ammala. Tanto è vero che nei nostri reparti di Malattie Infettive oltre la metà dei casi di malaria d’importazione si riscontrano a carico di soggetti africani che tornano in vacanza nei paesi di origine dopo anni di residenza in Italia.

Giusto quindi prestare attenzione a chi torna dal Congo con febbre ma prima di lanciare allarmi è bene occuparsi di fare corretta diagnosi con tutta tranquillità: anche perché un caso di sospetta malaria non va isolato: la malaria non si trasmette da uomo a uomo senza l’intervento della zanzara vettore.

Prof. Giampiero Carosi: