Con l’approvazione della Legge Delega sul fisco, finalmente, si vede una prima reale modificazione dell’impianto fiscale italiano. Come già accennato in uno scorso articolo, non si tratta certamente di una rivoluzione ma è, innegabilmente, un primo passo verso la trasformazione di quel monolite del fisco italiano verso un qualcosa di nuovo, diciamo quasi inedito fosse anche solo per il clima in cui la riforma stia nascendo. Per la prima volta, se si escludono i governi tecnici del passato, si è assistito, infatti, a una convergenza più ampia dello schieramento di maggioranza con alcune frange dell’opposizione che hanno condiviso non solo i principi ma anche lo sviluppo dell’impianto proposto dal governo Meloni, cosa che ha permesso di emanare un testo certamente migliorabile ma che permetterà non una mera opera di maquillage bensì un intervento strutturale su quello che è l’imposizione nella penisola. Cosa prevede, però, questa riforma?
Le tre principali aree di intervento sono le imposte sui redditi delle persone fisiche, l’IRAP e gli accertamenti fiscali. Sicuramente il punto cruciale è e resta la parte relativa all’IRPEF che è l’imposta più “visibile” dal lato del cittadino, andando ad agire direttamente sui suoi redditi. No, non c’è la flat tax, se non come obiettivo finale, come “tendere verso” di un’opera riformista che, giustamente, è stata impostata con un respiro molto ampio e che punta, principalmente, alla semplificazione in questa tornata. Le aliquote passeranno da quattro a tre, ampliando l’intervallo d’azione di quella mediana che rappresenta il tasso di imposizione marginale per tutto quel ceto medio che, nel corso degli anni, ha visto ridurre costantemente il proprio reddito reale. Questo, sia chiaro, non produrrà grandi aumenti in busta paga, a livello di salario netto, ma è sicuramente un’inversione di tendenza importante e che porta un provvedimento strutturale slegato dalla politica dei bonus che ha contraddistinto gli ultimi anni ma una cosa molto interessante c’è per i lavoratori dipendenti: la detassazione di tredicesime, straordinari, premi di produzione e la questione scottante dei fringe benefit. Anche qui non sarà presente una flat tax incrementale sulle tredicesime, come sembrava da annunci precedenti, ma si avvia a rendere meno pesante il prelievo in questo caso così come di rendere definitiva l’agevolazione sul salario di produttività ma il risultato lo si potrà leggere solo con l’approvazione definitiva della manovra.
Stesso discorso per i fringe benefit, argomento molto sentito a livello di alcune categorie ma che si intreccia pesantemente con i welfare aziendale che, almeno nelle intenzioni, è obiettivo di questo governo spingere. Al momento attuale esiste un ampliamento della soglia di esenzione fiscale a 3’000 euro per i lavoratori con figli minori, mentre resta a un livello quasi ridicolo, poco sopra i 250 euro, per gli altri. Nei fringe beneft rientrano diverse tipologie di agevolazioni che un datore di lavoro possa concedere, dall’auto aziendale a uso promiscuo, al telefono, ai rimborsi delle bollette e i buoni acquisto ai tassi agevolati sui finanziamenti, questo soprattutto per bancari e assicurativi, e 250 euro sono una soglia molto bassa, soprattutto in periodo di alta inflazione e di tassi crescenti, poiché i vantaggi oltre questa soglia verrebbero tassati all’aliquota marginale.
Un serio ragionamento sulla questione non è assolutamente fuori luogo poiché si parla di agevolazioni di welfare che, altrove, fanno parte del “pacchetto salariale” che permette di aumentare la differenziazione tra un datore di lavoro e l’altro, spingendo alla concorrenza anche dal lato della domanda di lavoro, con evidenti vantaggi per entrambe le parti. Bene, finora si è parlato di lavoratori dipendenti ma per gli autonomi e per le imprese?
La prima grande novità è il percorso di riduzione e di graduale superamento dell’IRAP, una delle imposte più odiate da lavoratori autonomi e imprese poiché va a colpire anche i costi dei fattori produttivi e non solo i profitti ma a questo va aggiunta una revisione dell’impianto IRES in cui all’aliquota ordinaria del 24% verranno aggiunti due sistemi di riduzione del prelievo complementari: il primo permette una riduzione dell’aliquota in caso di investimenti, nuove assunzioni o previsione della partecipazione dei dipendenti all’utile aziendale, il secondo, nel caso non si possa accedere a quanto fin qui descritto, prenderà la forma di incentivo tramite superammortamento.
Una novità per partite IVA e PMI è l’introduzione del concordato preventivo biennale che permetterà al fisco di calcolare quanto dovuto per i due anni seguenti, ovviamente su proiezione statistica, e chi l’accettasse non avrà alcuna contestazione sull’imposta reddituale dovuta e avrà la certezza di quanto dovrà pagare, anche mediante addebito automatico bancario. Viene introdotta, inoltre, la possibilità di rateizzare acconti e saldi per lavoratori autonomi e imprese individuali.
Tutti, invece saranno toccati dalla revisione dell’IVA che sarà rimodulata e pare che sia allo studio la possibilità dell’esenzione all’imposta per i beni di prima necessità.
Dal lato degli accertamenti arrivano, invece, alcune delle novità più apprezzate anche dai commercialisti italiani perché vengono eliminate le sanzioni penali tributarie, compresa quella per “dichiarazione infedele”, verso coloro che decideranno di collaborare con il fisco e si escludono anche eventuali sanzioni amministrative, riducendo pure i tempi di decadenza per l’accertamento, ai contribuenti che abbiano un sistema di gestione del rischio fiscale certificato da professionisti qualificati; sarà eliminato, inoltre, l’automatismo della procedura di pignoramento dei conti correnti. Il quadro fin qui descritto, a cui si vanno ad aggiungere la possibilità di cedolare secca anche agli affitti commerciali e la progressiva eliminazione dei microtributi (tra cui l’odiato superbollo per le automobili con potenza superiore ai 185 Kw), sembra decisamente interessante, pragmatico e innovativo nell’Italia delle tasse e della burocrazia; sicuramente porterà a diversi vantaggi per tutto ma… Sì c’è un ma!
Non si tratta delle solite contestazioni manichee da parte degli oppositori in parlamento o di qualche sigla sindacale politicizzata ma di alcune iniziative opinabili e che non favoriscono certo un clima di fiducia da parte degli operatori economici (leggi investitori). Si parla, ovviamente, dell’imposta sugli extraprofitti bancari. Non è compresa nella legge delega, ovviamente, ma si tratta di un provvedimento a latere, inserito nel cosiddetto DL Asset e Investimenti che prende forma insieme a diverse altre previsioni per chiudere le questioni aperte prima della pausa estiva, dalla vexata quaestio dei taxi, al caro voli, all’uso del golden power, etc. Questa imposta prende la forma di “una tantum”, sul modello di quella che previde il governo Draghi per le imprese energetiche nel 2022, per reperire le risorse necessarie a rifinanziare il fondo di garanzia per i mutui prima casa per gli under 36 e ridurre ulteriormente le imposte a famiglie e imprese.
Detta così sembrerebbe una cosa assai positiva ma cosa sono gli “extraprofitti” ed è veramente possibile tassarli? Dalle bozze relative alla strutturazione dell’imposta sembrerebbe che verrà tassata al 40% la quota del margine di interesse 2022 (quindi retroattiva, poiché si pagherà nel 2024) che ecceda del 5% il margine del 2021 e della stessa aliquota la quota del mint 2023 che ecceda del 10% quello ancora del 2021.
Se fosse stato possibile rovinare il ritorno di immagine che una buona riforma fiscale avrebbe potuto dare così l’opera si è conclusa e il risultato dei titoli del settore bancario l’8 agosto, all’indomani dell’annuncio ne sono la riprova. Sia chiaro che questo “crollo” non sia dovuto all’imposta in sé ma all’incertezza generata dall’annuncio improvviso dell’approvazione di questo tributo senza alcuna avvisaglia precedente che ha generato un clima di incertezza che è stato immediatamente “prezzato” sul mercato e che è già in corso di riassorbimento con i rialzi che si sono registrati già dal giorno seguente, il 9 agosto.
Il vero problema è che se qualcuno abbia sperato che l’era delle imposte populiste, chiamiamole così, come le vecchie plastic tax e sugar tax di contiana memoria fosse finita sarebbe rimasto sicuramente deluso anche se la strada per riscrivere il fisco italiano è stata tracciata (e in maniera piuttosto pragmatica va detto) ed è auspicabile che, al di là di trovare estemporanee come questa, si possa continuare in quella direzione e la credibilità che l’attuale governo si sta, faticosamente, creando è stata scalfitta solo in parte da questo provvedimento estemporaneo.