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Prescrizione: una riforma che non convince

La prescrizione estingue il reato ….”. Così è scritto nel nostro codice penale precisandosi che tale estinzione è conseguente al decorso del tempo. La ragione di tale regola, o meglio di una pluralità di regole che formano una norma strutturata – ciò che è individuato sotto il nome di “istituto giuridico” – è legata alla necessità che il sistema abbia, in un tempo ragionevole, una risposta dell’ordinamento ad una modifica del proprio assetto causato da un possibile reato. E, ove tale risposta non giunga in tempi congrui, la situazione di fatto si consolidi senza che si attenda un futuro remoto.

Altra ragione che fonda l’istituto della prescrizione è la natura stessa della pena, dalla nostra Costituzione considerata finalizzata alla rieducazione del colpevole. Così il nostro ordinamento pone al centro l’uomo integrandolo in una società. Ed allora, se passano anni a quale uomo faremo patire quella pena, a colui che commise il reato o a colui che è cambiato negli anni, si è reinserito a pieno nella società, ha modificato il proprio modo di essere e la propria visione dello “stare insieme”?

Questo il punto di partenza per giudicare se la recente proposta di riforma che tende a sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado – i gradi di giudizio in Italia possono esser tre – sia funzionale al sistema o meno. Ciò perché si afferma che troppi processi penali si estinguano per prescrizione lasciando la collettività senza una risposta a fronte della iniziativa dello Stato di perseguire taluno imputandolo di reato, così lasciando immuni da sanzione penale i delinquenti, siano essi “colletti bianchi” o criminali di strada.

Orbene la magistratura italiana ha sempre ritenuto che la prescrizione (istituto mutuato dall'ordinamento austriaco che però ha ben altri sistemi deflattivi), a determinate condizioni, non dovesse decorrere ed uno dei motivi di interruzione era proprio visto nella sentenza di primo grado. Ciò perché lo Stato ha esercitato la propria pretesa punitiva mettendo in moto un meccanismo che ha portato ad un sia pur parziale, ma fondamentale approdo, proprio la sentenza di un giudice. Quindi una evidente mancanza di inerzia del sistema che ha reagito ad un possibile illecito.

Condivisibile, quindi, una ipotesi di sospensione della prescrizione in presenza di una risposta di un giudice, ma, chiediamoci, se questo sia rimedio sufficiente a sanare le falle del sistema. Se oggi i tempi della risposta sono così lunghi da richiedere un intervento così innovativo e sconosciuto alla nostra cultura giuridica, allungarli ancora è la giusta scelta? In realtà questa è una riforma che rischia soltanto di squilibrare ancora un sistema già in affanno. 

Il nostro codice di procedura penale del 1989, nato con le tante speranze di creare un sistema che coniugasse garanzie per l’imputato e per la collettività ed efficienza di risposta, ha fallito per diverse ragioni. Vi fu un vizio di origine, quello di innestare, come si disse orgogliosamente all’epoca da parte di chi lo approvò, delle regole proprie del sistema anglosassone, prima tra tutte quella di un reale contraddittorio innanzi al giudice, senza tenere in conto che si appesantiva la procedura con precetti inesistenti in quei sistemi, ma propri della nostra irrinunciabile cultura (la motivazione scritta della sentenza ed i vari gradi di giudizio sono sconosciuti negli Stati Uniti dove una giuria pronunzia un verdetto inoppugnabile e non motivato per iscritto).

Ma ancor di più hanno pesato le stratificazioni delle norme processuali, tlune adottate in piena controtendenza rispetto a quelle dell'originaria formulazione del codice di procedura penale. Francesco Minisci, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, ha ricordato come, se cambia un giudice durante il processo –  per i reati più importanti il collegio è composto da tre togati –  si deve iniziare tutto da capo. A ciò si aggiunge una norma della fondamentale legge del 2016, quello che fu definito il nuovo ordinamento giudiziario, che l'obbligatorietà del trasferimento entro un massimo di 8 anni per i presidenti di un collegio penale e di 10 per i singoli giudice a latere. Pertanto – poiché giudici non arrivano tutti contemporaneamente in una sezione – sarà quasi ovvio che i processi, come purtroppo dimostra l'esperienza quotidiana, ricominceranno più e più volte, consumando inutilmente risorse del sistema, ma anche penalizzando gravemente l'imputato che ha diritto ad avere una pronuncia, che sia di assoluzione o di condanna.

Si pensi poi al caso di processi minori decisi in prima istanza da un solo giudice che, invece, saranno sottoposti all'esame di tre magistrati in Corte d'appello, ufficio che oggi vedrebbe la imprescrittibilità dei reati all'esito di una sentenza di primo grado. Va poi sottolineato un ultimo punto: i reati che non si prescriverebbero sarebbero soltanto quelli commessi successivamente alla data di entrata in vigore della legge che modificherà l'istituto. 

Questi soltanto i primi esempi che mostrano la farraginosità di un codice che oggi ci porta ad imporre soluzioni estreme come quella di cui stiamo discutendo relativamente alla prescrizione, lo ripeto, lontane dalla nostra tradizione giuridica. Ugualmente per anni non si è investito su assunzioni di personale amministrativo formato per essere parte efficiente nel sistema giustizia, oggi fin troppo sostituito da professionalità provenienti da altre amministrazioni. Sarebbe ingiusto negare che negli ultimi tempi la situazione sembra essere cambiata, ma siamo soltanto all'inizio e probabilmente sarebbe ben opportuno riempire le larghe carenze di organico.

Ipotizzare che si possano risolvere gravi problemi agendo sulla singola norma e non creando una riforma di sistema, fa seriamente temere che in un prossimo futuro ci troveremo in una situazione ancor più grave, con le corti d'Appello e la Cassazione totalmente paralizzate a fronte di afflusso di sopravvenienze ingestibili.
Se si vuole davvero risolvere il problema della giustizia penale serve un reale ripensamento delle regole del nostro codice, liberandolo da inutili cavilli che non permettono una pronta risposta. La prima cosa da fare è riflettere su come evadere una domanda di giustizia in tempi, come dice la Costituzione, ragionevoli, che non significa necessariamente rapidi ma commisurati alla difficoltà della comprensione del fatto di reato posto all'attenzione del giudice, evitandosi  nel contempo di creare quelle condizioni di impunità anche per delitti odiosi.

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