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Premierato, le zone d’ombra della riforma anti-ribaltoni

Palazzo Chigi

Palazzo Chigi. Foto: Consiglio dei Ministri

La legge di revisione della Costituzione, che viene portata all’esame del Consiglio dei ministri, si preannuncia con un ambito di intervento limitato a poche disposizioni costituzionali, ma incide profondamente sull’assetto dei rapporti tra Governo, Parlamento e Presidente della Repubblica. La espressione “premierato” che nella comunicazione intende riassumere le caratteristiche della riforma, riecheggia il sistema parlamentare e governativo inglese, ne raccoglie alcuni elementi, quale il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei ministri, e se ne discosta in modo rilevante per altri. La caratterizzazione della riforma che viene proposta è data dalla elezione diretta, da parte del corpo elettorale, del Capo del Governo unitamente alla elezione del Parlamento, e per l’attribuzione di un premio di maggioranza alla lista, o alla coalizione di liste collegate, diretto ad assicurare una maggioranza parlamentare legata al Presidente eletto. Completano il quadro congegni destinati ad escludere che in Parlamento si possano coagulare maggioranze con diverso indirizzo politico, evitando i cosiddetti “ribaltoni”.

È evidente che il nuovo assetto collocherebbe al centro del sistema il Presidente del Consiglio dei ministri, forte dell’investitura politica elettorale diretta, che gli attribuisce una forza tendenzialmente dominante. La nomina vincolata da parte del Presidente della Repubblica si ridurrebbe ad una formalità documentale e di fatto verrebbe meno anche il suo potere di incidere, ove ne ricorrano le ragioni, sulla scelta dei ministri. Anche la fiducia del Parlamento, pur necessaria per perfezionare l’investitura del Governo, diventa un passaggio scontato, determinando, in caso di voto contrario, lo scioglimento del Parlamento. Rimane l’involucro formale delle attribuzioni del Presidente della Repubblica e del Parlamento, ma viene meno il contenuto sostanziale.

L’obiettivo, condivisibile, è di assicurare la stabilità del Governo e di rafforzare l’efficacia della sua azione. Tuttavia lo schema proposto fa perdere al sistema la flessibilità che può essere necessaria quando si manifesti una crisi, che può essere determinata anche da imprevedibili e profondi mutamenti del contesto internazionale, dalla situazione economica, dall’interesse del Paese. Egualmente è positivo evitare opportunistici “cambi di casacca” politica di parlamentari, quali si sono manifestati largamente in passato. Anche i mutamenti nel coagularsi delle maggioranze parlamentari a volte non sono espressione di “ribaltoni” suscitati da aggregazioni di potere, ma mutamenti di indirizzo politico legati alla diversità di scelte politiche di fondo all’interno delle stesse coalizioni, quando affiorano nuovi problemi politici.

Non si arriva a legare al Capo del Governo la durata della legislatura, come avverrebbe se si attribuisse al primo il potere di scioglimento, ancora riservato al Presidente della Repubblica, o se si imponessero nuove elezioni se il Parlamento votasse la sfiducia al Governo. Questo modello è seguito nei Comuni e nelle Regioni, ma porta ad una assai scarsa rilevanza delle assemblee rappresentative. Tuttavia nel modello di riforma, se venisse meno il Presidente del Consiglio eletto, chi fosse chiamato a succedergli, scelto all’interno della stessa coalizione, ne dovrebbe attuare il programma, in una funzione depotenziata e tale da apparire vicaria. Sarebbe difficile valutare quanto questo sia realistico o quanto di fatto conduca necessariamente a nuove elezioni.

Sono reali sia l’esigenza di stabilità e di efficacia dell’azione del Governo, per attuare indirizzi politici che si proiettano almeno nel medio periodo, sia la connessa esigenza di una maggioranza parlamentare che assicuri la governabilità. Tuttavia c’è da chiedersi se esistano strumenti diversi da quelli prefigurati con la riforma che intende introdurre il premierato, che perseguano efficacemente lo stesso obiettivo senza modificare l’assetto costituzionale, che vede come centrale il ruolo del Parlamento, e attribuisce al Presidente della Repubblica un ruolo di garanzia e di intervento nei momenti di crisi. Senza modificare questo assetto si potrebbe intervenire al livello sub costituzionale, con una legge elettorale che favorisca le aggregazioni delle forze politiche e assicuri una maggioranza parlamentare, e con modifiche ai regolamenti della Camera e del Senato che contrastino il passaggio da un gruppo parlamentare all’altro e che assicurino tempi certi per deliberare sulle iniziative legislative del Governo.

Cesare Mirabelli: