Mentre il mondo sembrava essere scomparso di fronte alla querelle relativa all’innalzamento del tetto al contante da 1’000 a 5’000 euro e alla proposta di innalzare a 60 euro l’obbligo di accettazione dei pagamenti elettronici da parte degli esercenti, vista da una certa fazione politica come una mossa a favore degli evasori fiscali, ecco che da Bruxelles arriva la decisione di fissare ad almeno 10’000 euro il tetto alle transazioni in contanti.
Improvvisamente è calato un silenzio imbarazzato da parte dei contestatori dell’attuale maggioranza unitamente ai post di schermo che, in questi giorni, sono apparsi sui social ma, al di là dei ghigni e delle battute, la questione è piuttosto importante perché, per la prima volta, si decide di estendere una limitazione all’uso del contante in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea ma, attenzione, non per un questione legata all’evasione fiscale ma all’antiriciclaggio, infatti il provvedimento sarà inserito nella futura AMLD6 (Anti-Money Laundering Directive 6). Facciamo un passo indietro, però, fino al secolo scorso.
Era il 1991 quando il governo Andreotti VII emanò il primo limite all’uso del contante pari a 20’000’000 di lire. Sì, 20 milioni che, oggi, sembra una cifra altissima ma che è inferiore ai 12’500 euro a cui il governo Berlusconi bis innalzò il predetto limite per poi scendere a 5’000 euro con il Prodi bis, tornare prima a 12’500 euro e scendere ancora a 5’000 con il successivo mandato di Berlusconi, scendere ancora a 1’000 euro con Monti, risalire a 3’000 euro con Renzi e riscendere ai livelli attuali. Il tutto, ovviamente, senza alcun beneficio in termini di lotta all’evasione, che è rimasta sostanzialmente immutata nelle stime, né di rilancio dell’economia creando, invece, solo un certo caos a livello burocratico e di controllo.
La cosa più importante da sottolineare, però, è che un limite ai pagamenti in contante non serva a nulla nel contrasto all’evasione fiscale che, però, come già accennato è meramente stimata e potrebbe essere ben superiore come anche molto più contenuta di quanto si racconti, questo perché se uno volesse pagare o essere pagato in nero, commettendo già un illecito, non avrebbe alcun riguardo a un limite imposto sulle transazioni in contante, tanto non dichiarandolo non avrebbe alcun blocco, il problema sta, poi, nel ripulire quel contante e qui arriva la disciplina antiriciclaggio. Un limite alle transazioni in contanti rende oggettivamente più complesso riportare nel circuito legale le somme incassate in maniera illecita che dovrebbero, nel caso, essere frazionate e spese tramite un circuito di esercizi commerciali, spesso, di comodo. La domanda che dovrebbe sorgere spontanea, allora, sarebbe “perché un limite così alto?”
È evidente che la scelta della soglia dei 10’000 euro sia dovuta a una mediazione tra gli stati più restrittivi, come l’Italia, e quelli più permissivi dove non vigeva limite alcuno, come la Germania e l’Austria, ma si lascia un’ampia autonomia agli Stati membri per poter fissare anche dei limiti inferiori se ritenuti necessari. Sta di fatto che, come indicato anche dal Consiglio dell’UE, limitare l’uso del contante non ha un nesso diretto con le pratiche di evasione fiscale (per le ragioni indicate poco fa) né con il suo contrasto.
Dopo decenni di retorica sull’evasione endemica come male assoluto del Paese è difficile cominciare a ragionare sul fatto che non siano i divieti la vera arma per combatterla ma sia necessaria una vera e propria rivoluzione dal lato fiscale, di semplificazione prima ancora che di abbattimento delle aliquote e riduzione del prelievo.
Un sistema lineare ed economico, questo perché come indicava anche Luigi Marattin esponendo il programma economico del Terzo Polo per le ultime elezioni, ad esempio, esistono imposte (una ventina) il cui gettito non giustifica nemmeno i costi di riscossione, permetterebbe dal lato del contribuente di poter programmare e adempiere ai doveri fiscali in maniera semplice e meno onerosa e dal lato dello stato di poter esercitare in maniera veloce e incisiva le operazioni di controllo.
Veniamo all’obbligo del POS. Per mia formazione sono abbastanza ostile ad ogni forma di obbligo che, alla fine, rappresenta una distorsione di mercato così come mi lascia perplesso la retorica avversa dei difensori del contante a ogni costo. Se pur vero che l’incasso tramite sistemi elettronici abbia un costo (ed è ovvio, si tratta di un servizio che deve essere remunerato) è anche vero che lo stesso contante abbia un costo, rilevante ma subdolo perché nascosto.
Bisogna ricordare che il contante costa allo stato qualcosa come 10 miliardi di euro all’anno per la sua gestione che viene finanziato per via fiscale, poi le stesse banche sopportano dei costi per l’approvvigionamento, il ritiro delle eccedenze, la sicurezza e lo stoccaggio che traslano nei canoni dei conti correnti e nell’ammontare delle commissioni richieste, a questo vanno, poi, aggiunti i costi inerenti alla sicurezza, al tempo per le quadrature e la riconciliazione tra la cassa e le partite contabili e il ricorso ai servizi bancari per depositi e ricostituzione del fondo cassa da parte degli esercenti. Siamo sicuri che il costo del pagamento via POS sia superiore a tutto questo?
Il cliente, inoltre, ha il diritto di pagare con il supporto che preferisce e gli è più comodo scegliendo il venditore che lo accetti, nella sua libertà di accettare questo o quel supporto alla valuta legale, il mercato, va ricordato, è guidato dalla domanda, demand driven si direbbe con un linguaggio tecnico, quindi se un esercente decidesse liberamente di non accettare determinati supporti di pagamento dovrebbe essere coscio che, credibilmente, andrà a perdere una quota di mercato più o meno ampia così come disegnata dalle abitudini della domanda. Veramente qualcuno sarebbe così fesso (perdonate il francesismo) di perdere clienti solo perché non voglia accettare pagamenti tramite carta di credito? Possibile che non sia capace di effettuare una traslazione di costo verso i prezzi per compensare le commissioni di incasso, come fanno in buona parte del mondo? Qualcuno direbbe che il rifiuto delle carte sia dovuto alla volontà di evadere il fisco.
Certamente, in qualcuno, questa intenzione ci sarà ma in generale la cosa è dovuta all’assoluta ignoranza (nel senso letterale di non conoscenza) dei principi basilari di contabilità, della fiscalità (le commissioni sono una componente negativa di reddito che va a diminuire l’imponibile, ad esempio) e, pure, dei prodotti che si acquistano. Spesso chi si lamenta delle commissioni ha un contratto relativo al POS obsoleto, con costi fuori mercato, e basterebbe ricontrattare con la propria banca di riferimento o selezionare un nuovo fornitore per abbattere i costi. Detto questo, si può ben dire che la retorica intorno al contante che si è sviluppata negli anni in Italia, sui media, sui social network e, pure, al bar, sia abbastanza fastidiosa e poco centrata; il problema è che anche a livello del governo e del legislatore questa sia arrivata quasi per osmosi, impedendo una visione più chiara della questione.
Se i pagamenti elettronici possano portare a un vantaggio (e questo c’è sotto ogni punto di vista, in un’ottica win win sia per le persone fisiche sia per le aziende) gli stessi non devono essere imposti ma agevolati; se si spingesse ad usare questi metodi, sia semplificando diverse operazioni (come, questa è una provocazione, abolire pagoPA per passare a un POS virtuale anche per le PPAA) sia rendendo più conveniente il ricorso a carte e app, anche per via fiscale ad esempio, e non imponendo obblighi e sanzioni che creano, invece, un clima avverso il risultato sarebbe quello di un progressivo spostamento delle abitudini di pagamento verso queste, come già avvenuto in diversi altri paesi senza bisogno di alcuna costrizione per legge… serve solo tempo e una visione politica che vada al di là della mera propaganda elettorale di breve termine.