Il piano è ambizioso, all’altezza della cifra messa sul tavolo: 248 miliardi di euro. Soldi destinati a finanziare centinaia di progetti definiti “ambiziosi”, ma certamente strategici per la ripresa del Paese. Del resto Mario Draghi non è stato portato a Palazzo Chigi per pensare in piccolo. Un’ampia visione non può che portare a pensare in grande. Dunque questo è il percorso intrapreso. “Ma sbaglia chi pensa che il Piano nazionale di ripresa e resilienza sia solo numeri e scadenza: quel piano è vita, è il destino” di un intero Paese”, afferma Draghi presentando alla Camera l’insieme di riforme e investimenti che sono il cuore della sua azione di governo e “forse” l’ultima occasione per “porre rimedio” ai ritardi dell’Italia. Che sono tanti, forse troppi, ma tutti attribuibili alla politica. Anzi, a quella politica miope e sorda rispetto ai reali bisogni del Paese che ha governato l’Italia nei mesi scorsi.
“Ritardi, inefficienze, miopi visioni di parte”, nella realizzazione del piano “peseranno sulle nostre vite” e sull’ “Italia di domani”, avverte il premier, concedendosi la giusta dose polemica. Del resto la misura è il suo stile. “Welfare, casa, lavoro per i giovani”, assistenza agli anziani, ambiente e digitale, il rilancio del Sud, la riduzione drastica (fino al 40%) dei tempi dei processi, nuove misure per la concorrenza per evitare che il grosso dei fondi vada “a monopolisti”. Draghi, in poco meno di un’ora – si contano 22 applausi – elenca nell’Aula di Montecitorio i cardini del piano “Italia domani” che nasce, assicura, dalla “sintesi” delle istanze emerse nel dibattito delle Camere, dal confronto con gli enti locali e dall’azione istruttoria del precedente governo.
L’ultima versione del piano, con una nuova veste grafica, viene pubblicata sul sito della Camera intorno alle 14 e conta 273 pagine: il Parlamento si esprimerà con un voto su risoluzioni, mercoledì o più probabilmente giovedì ci sarà l’approvazione finale in Consiglio dei ministri e il 30 aprile il Pnrr sarà inviato a Bruxelles, senza sforare la scadenza prevista dalla Commissione Ue. Lo stile Draghi non concedere deroghe o strappi. Anche in questo il cambio di passo è forte. Ma i tempi ristretti per il dibattito parlamentare, che creano qualche mal di pancia sottotraccia anche in maggioranza, fanno insorgere la sparuta opposizione guidata da Fratelli d’Italia, che continua a fare il suo mestiere, o a recitare la parte assegnata in commedia. “Si scrive una brutta pagina della storia parlamentare, bisognerebbe avere la decenza di darci il tempo di leggere il piano”, lamenta in Aula il capogruppo Francesco Lollobrigida. Un’accusa sterile, fine a se stessa.
Sono 191,5 miliardi di Recovery plan da spendere entro il 2026, più 30,6 miliardi di “Piano complementare” per gli investimenti che restano fuori dal piano, altri 26 miliardi da spendere da qui al 2032 per opere “specifiche” come “l’alta velocità vera” tra Salerno e Reggio Calabria e quella tra Milano e Venezia, più 15,5 miliardi di Fondo europeo sviluppo e coesione. Draghi, che in Cdm in settimana potrebbe portare un nuovo decreto per prorogare la sospensione dell’invio delle cartelle esattoriali e la prossima settimana il decreto Imprese da 40 miliardi, elenca le cifre. Sono le cifre del disastro prodotto dal Covid, con l’economia a picco e “quasi 120mila morti, cui si aggiungono i tanti mai registrati”. E sono le cifre di un piano articolato in sei missioni, che dovrebbe dare una spinta al Pil di 3,6 punti nel 2026 e far crescere l’occupazione di 3,2 punti nel triennio 2024-2026. Con un’attenzione particolare al Mezzogiorno, “non per una questione di campanili” ma perché “se cresce il Sud, cresce anche l’Italia”.
Una visione politica chiara, quella di Draghi capace di andare al di là di certi inutili particolarismi, vera zavorra dello sviluppo, e non solo per il Sud. Lì finirà il 50% di investimenti in Infrastrutture. Solo uno “sforzo corale” permetterà di realizzare il piano, dice Draghi facendo appello allo “spirito repubblicano” del Parlamento e alla collaborazione degli enti locali cui in gran parte spetterà l’attuazione (il coordinamento sarà al ministero dell’Economia, la cabina di regia a Palazzo Chigi). “Sono certo che l’onestà, il gusto del futuro prevarranno su corruzione, stupidità, interessi costituiti. Ce lo auguriamo tutti, soprattutto ora, Non per sconsiderato ottimismo, ma fiducia negli italiani”, è l’accorato appello finale.
Le riforme al centro del piano sono quelle della pubblica amministrazione, con un primo decreto a maggio, e della giustizia, con l’obiettivo “ambizioso” di ridurre “l’inaccettabile arretrato”, tagliando i tempi dei processi civili del 40% e di quelli penali del 25%. E ancora: semplificazioni e concorrenza (unita a “più protezione sociale”), con norme per spingerla in “settori strategici come le reti digitali e l’energia”, insieme a misure per gli obblighi di gara per i regimi concessori. Draghi non cita la riforma fiscale, che il piano impegna il governo a disegnare con una legge delega entro luglio, ma che vede le posizioni nella maggioranza molto distanti. E invece nomina l’assegno unico per i figli e il Superbonus al 110% per le ristrutturazioni edilizie: “Non c’è alcun taglio” rispetto ai 18 miliardi già previsti dal piano di Giuseppe Conte (lo stesso ex premier sabato sul tema aveva attaccato) e c’è l’impegno a valutare la proroga al 2023 con la prossima manovra.
Al centro del Pnrr, che guarda al futuro, Draghi pone “la rivoluzione verde”, con circa 70 miliardi (nella versione finale ce ne sono 2,78 in meno, però, per le rinnovabili), 50 miliardi per la digitalizzazione come chiave per dare “eque opportunità a tutti” e i giovani tra i maggiori beneficiari del piano. Per questi ultimi annuncia la garanzia di stato sui mutui per la casa, per evitare di versare l’anticipo, 1 miliardo per le palestre a scuola e i campetti sportivi, 650 milioni per il Servizio civile, 600 milioni per il sistema duale scuola-lavoro, 1 miliardo per la competenza scientifica delle donne. Misure per l’imprenditoria femminile, una clausola per l’assunzione di giovani e donne per le opere previste dal piano. E ancora: il cablaggio di 40mila scuole, un intervento su reclutamento e formazione degli insegnanti. C’è infine il potenziamento della sanità territoriale e domiciliare, che entro il 2026 arriverà “al 10% degli over 65” che hanno bisogno di assistenza. Sperando che la cosa si realizzi davvero.