Non è una novità, ma sta divenendo una certezza. I “social media” (dalle piattaforme di dialogo e interazione tra iscritti fino ai contenitori di video o di altre opportunità di intrattenimento) sono alla base della depressione che è sempre maggiormente diffusa tra i giovanissimi. Un recentissimo studio, pubblicato questa settimana dai ricercatori dal Sainte-Justine Hospital in quel di Montreal, ha evidenziato in maniera nitida la correlazione tra
l’inarrestabile incremento di sintomi depressivi e il tempo trascorso dinanzi allo schermo dei dispositivi elettronici. I teen-ager – subissati da post mirabolanti o da filmati che esibiscono gioiosi contesti – si ritrovano costretti a comparare le proprie condizioni quotidiane con quel che altri (poco importa se sia vero o sia finzione) mostrano di poter fare. Il team, capitanato dalla professoressa di psichiatria, Patricia Conrod, ha indagato sullo stretto rapporto che lega la depressione adolescenziale e l’esposizione prolungata alle differenti sorgenti visive digitali.
Il campionamento effettuato con il più rigoroso metodo scientifico ha preso in considerazione – per ciascun soggetto – un periodo di almeno quattro anni. La minuziosa rilevazione, avviata nel 2012 e conclusa nel 2018, è stata eseguita grazie ad un accordo con 31 istituti scolastici e ha garantito la disamina di oltre 3800 studenti compresi tra la settima e l’undicesima classe. I ragazzi hanno autonomamente riportato il numero di ore settimanali trascorse usando i “social”, giocando con i videogame e guardando la televisione. Mentre i giochi elettronici non sembrano avere particolari controindicazioni, social e tv hanno un ruolo significativo per accelerare i sintomi di disturbi psichici. Il dottor Elroy Boers, sempre dell’Università di Montreal, ha rilevato – non senza sorpresa di molti – che le ore trascorse a giocare con in videogame non sembrano contribuire alla formazione di sintomi depressivi. Secondo il ricercatore “è un ottimo passatempo” e spiega che la circostanza non deve stupire perché questa forma di intrattenimento in genere provoca allegria e si rivela liberatoria. Il quadro allarmistico non emerge solo dalle accuratissime statistiche.
Non mancano, infatti, dolorose testimonianze che prendono spunto da esperienze sul campo. Il responsabile del dipartimento di psichiatria infantile e adolescenziale del locale Chilndren’s Hospital, il dottor Martin Gignac, ha recentemente dichiarato che nel suo nosocomio sono aumentate a dismisura le visite ambulatoriali al pronto soccorso per fronteggiare emergenze di minorenni che avevano manifestato propositi suicidi e comportamenti che destavano serie preoccupazioni per l'incolumità degli interessati. “Non penso” – ha dichiarato Gignac, estraneo allo studio diretto dalla Conrod – “che i social media siano l’unica causa di questa situazione, ma sicuramente rappresentano un fattore di rischio che va assolutamente tenuto d’occhio con grande attenzione”. Gignac ha ribadito la necessità che i giovanissimi imparino cosa riversare in Rete della propria vita, acquisiscano la coscienza della pericolosità di certe azioni, comprendano i limiti tra l’intimo, il privato, il famigliare e il pubblico. Il primario ha indicato la formazione come unica via per contrastare fenomeni così gravi,
prevedendo non solo seminari e corsi per gli studenti ma immaginando la “cittadinanza digitale” come materia scolastica.
Difficile non esser d’accordo con lui. Da anni “predico” (e non solo io!) l’opportunità di inserire l’ “educazione civica telematica” nelle scuole dell’obbligo, ma purtroppo l’insensibilità al problema è a dir poco scoraggiante. Ci si accontenta della giornata sulla Sicurezza sul web e di altre sporadiche iniziative che sottolineano – con la loro marginalità – che la questione “Internet e Minori” non ha alcuna priorità nell’agenda istituzionale. Ci dimentica che i giovanissimi sono il futuro del Paese e la loro tutela altro non è che la difesa del loro (e nostro) domani.