“Chi parte sa da che cosa fugge, ma non sa che cosa cerca“. Non so davvero se questa frase tratta dal film Ricomincio da tre di Massimo Troisi, può correlarsi alla “fuga dei giovani dal Sud”, ma mi piace lo stesso partire da questo approccio per una mia opinione su un fenomeno che non accenna a fermarsi e neppure a rallentare, nonostante da circa 18 mesi la pandemia ci abbia costretto a riflettere su comportamenti e stili di vita.
Mentre, infatti, la pandemia suggerisce di “sostare” in un luogo sicuro, vicino, solidale, il mondo intero si sta “muovendo” verso – si pensa – un luogo migliore. E se la terra è senza alcun dubbio rotonda, allora possiamo pensare che questo movimento prima o poi ci riporterà al punto di partenza, a meno di voler sbilanciare l’umanità verso un improbabile luogo migliore che si farà sempre più fatica a trovare.
In questo disegno, la fuga di oltre 1,5 milioni di giovani dal Sud negli ultimi 25 anni, si sovrappone a tutti i fenomeni migratori e va letta con un’unica chiave di lettura: nel mondo c’è un “malessere” globale che spinge le persone a spostarsi per non morire…non necessariamente in maniera letterale, ma in una logica di assenza di speranza che attanaglia ormai quasi tutti.
Del resto, la globalizzazione, soprattutto quella tecnologica, ci consente di avere una visione del mondo istantanea, anche se quasi mai veritiera. Questa visione ci condiziona e ci spinge a comportamenti conseguenti.
L’ultima analisi su economia e occupazione al Sud della Confcommercio non può che confermare questo trend: scende la ricchezza prodotta dal Mezzogiorno sul totale dell’Italia passato da poco più del 24% al 22%, il Pil pro capite è sempre rimasto “intorno alla metà” di quello del Nord e nel 2020 è risultato pari a 18.200 euro contro 34.300 euro nel Nord-Ovest e 32.900 euro nel Nord-Est, scende vertiginosamente il grado dell’occupazione al Sud, quattro volte inferiore alla media nazionale (4,1% contro il 16,4%).
Voglio essere più concreto: durante questi mesi ho incontrato parecchi giovani, alcuni di questi già altrove per motivi di studio o di lavoro, altri pronti a partire. Lo slang è che al Nord o all’Estero puoi studiare e lavorare al tempo stesso e al termine degli studi trovi un impiego. Al Sud tutto questo è impossibile.
Questa struttura mentale – aggravata da una depressione economica senza precedenti e da risposte assistenziali inadeguate dello Stato (ndr “Reddito di cittadinanza”) – non può cambiarla il PNRR, totalmente sganciato da una visione culturale e piuttosto incardinato su pilastri infrastrutturali che semmai segnano ulteriormente le differenze fra Nord e Sud, in Italia, in Europa, nel Mondo.
Continua in tal senso ad essere interessante il movimento dei Sindaci del Meridione “Recovery Sud”, ha proposto istanze giuste e utili, per dare realmente al Sud ciò che gli spetta:
– Il 70% delle risorse del Pnrr e non il 40%.
– Coinvolgimento diretto dei Comuni meridionali e progettazione partecipata nei territori.
– Accordi con le università e altre organizzazioni che possano consentire ai giovani laureati del Sud di avere un ruolo fondamentale nel Recovery.
– L’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni.
– L’attuazione della perequazione infrastrutturale.
– Un secco “no” all’autonomia differenziata.
Ma tutto questo come potrà convincere un giovane meridionale che sia meglio rimanere nella sua Terra, nel suo paesino, piuttosto che spiccare il volo verso un ignoto che, pur non essendo chiaro, è però suadente?
Il pensiero che l’efficientamento del Sud e la sua attrattività possano dipendere dal rafforzamento della macchina pubblica e da un grosso investimento nel settore energetico, mi lascia perplesso e con me sicuramente lascia perplessi i giovani e tutti coloro che credono ad un progetto per il Sud a matrice comunitaria.
Non vorrei che il Sud si trovasse di fronte ad un deja-vu, con una macchina pubblica di grande quantità e di poca qualità e con una serie di infrastrutture di tipo industriale che ne hanno distrutto il territorio. Che ancora una volta la valanga di risorse che arriverà al Sud, sia strumentale agli interessi di lobbies, per le quali il Sud è solo una “mucca da mungere”.
A causa di ciò, il Sud oggi è un deserto e per invertire la rotta occorre tanto tempo e pazienza. Come mi è già capitato di dire e di scrivere, c’è una transizione sociale che al Sud viene prima di ogni altra questione, perché al Sud va restituita la possibilità di partecipazione alla costruzione del bene comune, non come sfida epica di sparuti eroi, ma come scelta strategica di popolo, di comunità, di Stato. Ed è in questa logica che i giovani possono essere vero valore aggiunto, capaci di quella operosità unita all’inventiva di cui il Sud ha bisogno.
Una leva che considererei all’interno di questa strategia, è la passione dei giovani meridionali per la comunità di appartenenza, potrebbe essere o diventare il motore del Sud. Parlo di quei giovani che hanno lasciato il Sud in cerca di futuro e che “grazie” al lockdown sono rientrati, arricchiti dalla conoscenza e dall’esperienza del mondo.
Potrebbe così realizzarsi un passaggio che considero fondamentale: “Se non riusciamo a recuperare la passione condivisa per una comunità di appartenenza e di solidarietà, alla quale destinare tempo, impegno e beni, l’illusione globale che ci inganna crollerà rovinosamente e lascerà molti in preda alla nausea e al vuoto” (FT n° 36).
Considero questa la vera “rivoluzione” sociale, culturale, economica per il Sud, lo snodo prioritario del nuovo Piano per il Sud, in cui le Comunità tornino ad essere protagoniste, a darsi regole di convivenza civile e di sviluppo endogeno, a tutelare tutti i cittadini a partire dai piccoli e dai fragili, a tutelare i loro territori.
Il Sud può essere – grazie alle nuove generazioni – il terreno di sperimentazione di una vera transizione ecologica che parta dalla convinzione nei cittadini che il territorio è la casa comune ed anche la mia, che devo averne rispetto, che occorre valorizzarlo e renderlo fertile, produttivo. Potremmo così sdoganare la frase del film di Troisi, evitando la partenza dei giovani e, soprattutto, la fuga.