Perché il Vangelo dell'”Effatà” è una catechesi sulla comunicazione

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Il Vangelo di questa domenica narra la guarigione del sordo da parte di Gesù. Il Vangelo, indipendentemente dall’episodio narrato, è sempre una forma di catechesi, è una selezione accurata di episodi con l’obiettivo di trasmettere specifici messaggi alle comunità. Non raccontano tutte le opere di Gesù. Giovanni infatti afferma che non basterebbero tutti i libri del mondo per contenere tutto ciò che Gesù ha fatto nella sua vita.Il Vangelo di Marco, noto come il Vangelo dei Catecumeni, inizia con la domanda: “Chi è costui?” e si conclude con la professione di fede del centurione: “Costui è veramente Figlio di Dio”. Questo episodio del Vangelo è come uno scrigno pieno di messaggi, ognuno dei quali può essere prezioso per chi lo legge.

Secondo la mia sensibilità, la parola centrale è “Effatà”, che significa “apriti”. Questo Vangelo, dunque, ci parla di apertura. La prima è quella di Gesù, che supera i confini del popolo di Israele e si reca in territorio pagano, a nord, nella Decapoli. Qui vediamo Gesù abbattere i confini, perché i figli di Dio si trovano ovunque, non solo tra i credenti. Il suo “Effatà” è un invito all’apertura verso tutti, senza esclusioni.

Il miracolo raccontato è il simbolo della comunicazione. La comunicazione ha bisogno di apertura, e la prima apertura è quella dell’ascolto. Senza ascolto non può esserci vera comunicazione, ma solo un monologo. La parola, infatti, nasce sempre come risposta a un ascolto profondo, anche di se stessi. Questo vale nelle relazioni umane, ma anche nel rapporto con Dio e nella comunità cristiana. Nella Chiesa, così come nella società, è fondamentale saper ascoltare gli altri. Anche il cammino sinodale che stiamo vivendo sottolinea proprio la necessità di ascoltarci tutti, senza escludere nessuno, anche coloro che sono lontani. È solo attraverso l’ascolto che possiamo dialogare e costruire relazioni. Questo vale anche per la nostra relazione con Dio.

Il primo comandamento che Israele riceve è proprio “Ascolta, Israele”, e da questo ascolto nasce la possibilità di rispondere a Dio con la parola. In termini di evangelizzazione, il primo passo è ascoltare le persone e le loro esigenze. Non possiamo offrire una risposta unica a tutti, perché ognuno ha bisogni diversi. San Paolo dice che i bambini hanno bisogno di latte e gli adulti di sapienza, e anche tra di noi dobbiamo modulare il nostro linguaggio in base a chi abbiamo di fronte.

Viviamo in un tempo in cui spesso non ci sono richieste esplicite, e il rischio è l’indifferenza. Quando si chiede ai giovani cosa vogliono dalla Chiesa, spesso rispondono “niente”. Il nostro compito è quindi suscitare domande, per poter poi ascoltare e offrire una parola che risponda a quelle domande. Per me, dunque, il Vangelo della prossima domenica è una catechesi sulla comunicazione: ascoltare per poter parlare. Da credenti, siamo chiamati ad ascoltare ciò che Dio ci vuole dire, per poi comunicarlo e annunciarlo agli altri. Come dice l’antica formula, l’annuncio è “contemplare e trasmettere ciò che si è contemplato”. Anche nella preghiera, come ci ricorda Enzo Bianchi, il primo passo è l’ascolto. Solo dopo aver ascoltato possiamo dialogare con Dio.