I numeri, quelli ci sono. Con 181 sì la Camera ha approvato la risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. I contrari sono stati 100 e 13 gli astenuti. Saranno pure un dettaglio, ma in politica i dettagli fanno la differenza. Soprattutto quando dietro a quelle cifre si celano tensioni e fibrillazioni, gli elementi caratterizzanti della giornata di ieri. Partiamo dal punto centrale dell’intervento della premier, sul quale dibatteremo ancora, perché quello della Meloni non voleva essere un attacco a Mario Draghi bensì al Pd, assicura la stessa inquilina di Palazzo Chigi, dopo aver caricato a testa bassa durante il suo intervento. Ma davvero Draghi è il salvato e il Pd il sommerso? Stringiamo l’occhio di bue sul particolare.
Quando il partito di Elly Schlein prova a sbandierare l’immagine dell’ex premier sul treno per Kiev con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron per metterla in difficoltà, la Meloni chiarisce che la sua politica estera non può risolversi nella triangolazione Roma-Berlino-Parigi, come nella foto del “grande gesto da statista del mio predecessore”. “Per alcuni la politica estera è stata farsi foto con Francia e Germania quando non si portava a casa niente. L’Europa non è a tre ma a 27, bisogna parlare con tutti: io parlo con Germania, Francia e pure con l’Ungheria, questo è fare bene il mio mestiere”, rivendica alla vigilia della sua sfida politica più delicata, quella che si gioca in settimana sul Patto di stabilità. Dunque la partita è fuori dai confini del nostro Paese. E lo è perché in questa fase è necessario che sia l’Europa a giocare la partita, a ricoprire un ruolo chiave, in termini di investimenti e proposte. Solo così si compete con Stati Uniti e Cina. Solo così si evitano le sabbie mobili, con gli investimenti, come chiedono gli imprenditori. Dunque in questa fase non serve stabilire chi ha sbagliato di più in passato, ma sostenere chi farà bene nel futuro immediato. Questo conta. Alla luce anche dei segnali positivi, timidi ma significativi della nostra economia. Perdere il treno della ripresa sarebbe un errore fatale, soprattutto se tutto ciò dovesse dipendere dal solo voler remare contro.
“Preferisco essere accusata di essere isolata”, dice ancora la Meloni, “piuttosto che di svendere l’Italia, come è accaduto per anni”. L’ultima bozza del Patto di Stabilità la “soddisfa”, ma l’intesa non è chiusa sottolinea la premier. Inseguendo una difficile vittoria, intanto rivendica che la partita “è ancora aperta” solo “perché a Bruxelles tutti riconoscono che la posizione italiana è sostenuta da una politica di bilancio seria”. La premier, dopo l’incontro con i capigruppo di maggioranza sulla manovra, chiede di procedere spediti, frenando il pressing sul superbonus, e in Aula dedica ai negoziati sulla governance finanziaria europea gran parte delle sue comunicazioni.
In 35 minuti Meloni non cita mai il Mes, argomento che, però, qualche ora dopo infiamma la sua replica alle opposizioni quando, di fronte alle proteste del centrosinistra, quasi sfida gli altri leader: “Non siate nervosi, ci sono le dichiarazioni di voto, spero che qualcuno risponda”. La Schlein, dal canto suo, lo fa pronunciando la frase risuonata l’altra sera alla Scala: “Viva l’Italia antifascista, sentite come suona bene, consiglierei di pronunciarla insieme a noi anche a Meloni, Delmastro e Salvini”. Giuseppe Conte, invece, ribattendo all’accusa di aver dato l’assenso alla modifica del trattato di modifica del Mes “un giorno dopo essersi dimesso, con il favore delle tenebre”, come ripete due volte la premier, quasi sbattendo il microfono a fine intervento. “Meloni quando parla di Mes diventa paonazza, si agita. Forse perché è stato introdotto con un disegno di legge approvato nel 2011 con il governo Berlusconi e lei ministro?”, replica il leader M5s, accusando il governo di “degrado istituzionale” e ricordando che il suo assenso al Mes era sostenuto da una risoluzione parlamentare del dicembre 2020: “La ratifica la decida lei, di cosa ha paura? L’approva o non l’approva? Non ci giri intorno”. La Meloni, comunque sia, ritiene di seguire “la volontà del Parlamento”, da cui ha avuto il mandato a non aprire il capitolo Mes prima dell’esito della trattativa sul Patto. Con ogni probabilità se ne riparlerà nel 2024, con un nuovo slittamento giovedì alla Camera. In quelle ore la premier sarà a Bruxelles, per un Consiglio Ue che si annuncia lungo ma non per forza decisivo. E a cui tutti guardano con estremo interesse.