In questi giorni a fronte dello scontro nel Pd, che rischia di fare danni pesanti al Governo Gentiloni, vi è una richiesta quasi unanime di non sottoporre il Paese al confronto-scontro elettorale.
Premesso che questa Legislatura, risultato del voto del 25 febbraio 2013, passerà alla storia come quella meno produttiva della politica italiana, con un forte aumento della disoccupazione e dei problemi sociali nel nostro Paese nonché del debito pubblico, è lecito aspettarsi un programma forte che cerchi di rilanciare la crescita economica italiana, unico modo per creare posti di lavoro “veri” e per diminuire il debito pubblico.
Se in questi anni l’economia italiana, malgrado le tante riforme annunciate, non è andata sotto, è stato solo grazie alla competitività delle nostre aziende esportatrici e alla crescita della economia mondiale. Ma, come vediamo, le sole esportazioni non bastano e la domanda interna, che vale circa il 70% del Pil, non cresce perché il calo del Prodotto interno lordo pro capite e l’aumento della disoccupazione pesano sull’evoluzione della domanda interna.
E’ chiaro che bisogna fare qualcosa di nuovo e di più rispetto a quanto fatto in questi anni, a partire dagli investimenti in infrastrutture che possano aumentare il capitale del Paese e dargli un futuro. Malgrado tutto gli annunci, come ha detto il Dott. Coccia su “Il Sole 24 ore”, gli investimenti della Pa nel 2015 sono stati inferiori di 10 miliardi di euro rispetto al 2011. Dieci miliardi valgono 0,6 punti di Pil.
Effettuare investimenti nei porti, negli aeroporti e nelle linee ferroviarie che collegano i nostri scali marittimi alla rete europea dei trasporti, ci consentirebbe di incrementare il numero delle merci sia in arrivo che in partenza: un aspetto che permetterebbe altra crescita e creerebbe ulteriori posti di lavoro.
Per la competitività del nostro settore manifatturiero è importante investire nella cosiddetta “manifattura 4.0“, ma occorre essere consapevoli che tale operazione avrà un saldo occupazionale negativo. La Germania, ad esempio, negli ultimi vent’anni ha puntato a sviluppare due grandi polmoni di manodopera come la logistica e il turismo. In questo Paese, la logistica rappresenta il terzo settore e occupa oltre 2,5 milioni di persone, mentre in Italia, ne occupa solo 1 milione.
I nostri margini di crescita sono notevoli, soprattutto tenendo conto della posizione strategica dell’Italia nel Mediterraneo e del fatto che l’Europa ha assegnato al nostro Paese ben 4 corridoi ferroviari su 9 (e che questi si incroceranno nella Pianura Padana con il Corridoio Mediterraneo). A patto, però, che vengano accelerati i tempi di realizzazione.
L’Italia, che possiede i porti più vicini al Canale di Suez nonché il più importante patrimonio storico-culturale del mondo, può replicare la linea tedesca per ambire a un ruolo centrale nel turismo e nella logistica del futuro: questo perché la globalizzazione, Trump o non Trump, continuerà a crescere.
Turismo e logistica possono tranquillamente darci almeno un punto di Pil aggiuntivo oltre ad alcune centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro. Per questi motivi l’Italia, in coerenza con gli impegni presi nel recente viaggio in Cina dal Presidente Mattarella e dal Ministro Delrio, dovrebbe alzare la voce e chiedere che nel Piano Junker vengano inseriti gli investimenti nella nuova Diga foranea per il porto di Genova, per il collegamento veloce del capoluogo ligure con Torino e per l’ampliamento della rete delle Metropolitane a partire dalla Linea 2 della città piemontese.