Intervento

Perché nel Pnrr è previsto un piano per la digitalizzazione

Per le persone, una buona educazione, cioè l’istruzione, la formazione universitaria e l’apprendimento permanente, è essenziale per la vita lavorativa e civile. Essa è sinonimo di crescita personale, autonomia e indipendenza economica. Una persona così formata può raggiungere l’eguaglianza per i ceti meno abbienti, qualora si mettesse a frutto la fatica dello studio. Questa verità vale in qualsiasi tempo ordinario, ma soprattutto nel tempo che stiamo vivendo, influenzato da rapidissimi cambiamenti tecnologici che modificano profondamente il modo di pensare, lavorare e organizzare ogni aspetto della nostra esistenza. L’importanza di stare al passo con il cambiamento è oggi cento, mille volte maggiore.

Per questa ragione, Mario Draghi, incaricato dalla Commissione Europea, ha indicato come programmare la necessità di recuperare i gap competitivi con un piano di grande impatto su tutti i fattori di sviluppo. Al momento, è bene ribadirlo in ogni occasione, stiamo perdendo terreno nella competizione internazionale dei mercati. Tale situazione, se non corretta, produrrà un arretramento economico con gravi conseguenze sull’occupazione, sui salari e sul welfare. Il possesso delle tecnologie è importante, ma senza una adeguata cultura digitale dei lavoratori di ogni età, degli imprenditori e dei cittadini tutti, ogni programmazione risulterà vana.

Per questo motivo, il PNRR ha previsto un piano ben dettagliato per la digitalizzazione. È un’occasione irripetibile per recuperare i ritardi nelle attrezzature e nella preparazione digitale del nostro patrimonio umano. Si tratta, giustamente, del secondo investimento per consistenza economica, con ben 40 miliardi di euro, di cui 6 miliardi destinati allo sviluppo della cultura digitale e professionalità degli italiani. Purtroppo, siamo gli ultimi cittadini europei per conoscenza dei rudimenti della cultura digitale, con il 37% che dichiara di non avere alcuna padronanza nel gestire anche le più semplici tecnologie digitali applicate agli elettrodomestici, ai mezzi di trasporto e alle app per l’accesso ai servizi pubblici e privati. Gli spagnoli contano solo il 13% dei propri cittadini in questa difficoltà; i francesi il 21%. Dunque, 15 milioni di italiani così lontani dalla modernità vanno coinvolti nell’alfabetizzazione digitale, nel loro interesse e nell’interesse del Paese. Così come le nostre piccole attività commerciali, industriali e dei servizi, che denunciano che solo meno del 3% di loro è sufficientemente digitalizzato, a fronte della media europea che si attesta quasi all’8%.

L’altro nodo è quello della preparazione professionale dei lavoratori. Scarseggiano le lauree tecniche al punto che occorrerebbero ben 140 mila nuove lauree ITC, 80 mila nuovi partecipanti ai corsi ITS e qualche decina di migliaia in più di ingegneri informatici e specialisti nella sicurezza. La circostanza inquietante della mancanza di circa mezzo milione di alte specializzazioni che le imprese non trovano nel mercato del lavoro italiano, costrette a rivolgersi all’estero, fa ben comprendere la gravità del caso italiano. Sarebbe allora necessario aprire un forte dibattito su questo fronte, ben più delle discussioni inutili che da tempo distolgono l’attenzione dei cittadini. È necessario un grande progetto di coinvolgimento dell’opinione pubblica sulle urgenze e indicare gli step verificabili per raggiungere gli obiettivi. Dei piani della digitalizzazione del PNRR nessuno li conosce; non si sa neanche che punto si trovano e quali sono gli stakeholder coinvolti.

Università, sistema scolastico, soggetti pubblici e privati della formazione, imprese e sindacati dovrebbero essere i soggetti da coinvolgere per esercitare controllo e stimolo per le istituzioni e per cambiare anche se stessi. Non vedo altri modi di occuparsi di un tema così importante per il nostro futuro. Gli appelli all’occupazione e allo sviluppo saranno vuoti se poi tali progetti si affidano al caso e si sprecano, avvolti dalle nebbie dell’indifferenza, o peggio da pratiche non conducenti.

Raffaele Bonanni

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