Da qualche giorno non sentiamo più le previsioni dei sondaggi politici. Il silenzio demoscopico è previsto per legge: nei quindici giorni precedenti la data delle elezioni non è possibile diffondere i risultati dei sondaggi elettorali fino alla chiusura delle operazioni di voto.
Tuttavia, dagli ultimi sondaggi pubblicati sulle intenzioni di voto degli italiani, emerge in modo chiaro il primo partito: quello degli astensionisti.
L’astensione è oggi stimata intorno al 33%, il che equivarrebbe ad una affluenza del 67%. Se questa percentuale fosse confermata, si tratterebbe del valore più elevato nella storia repubblicana nelle elezioni parlamentari. Un dato che sarebbe in linea con il trend degli ultimi decenni che vede gli elettori sempre più lontani dalla politica. Nelle consultazioni del 2006 l’affluenza fu dell’84%, nel 2008 dell’80%, in quelle del 2013 del 75% ed infine nelle ultime elezioni del 2018 fu del 73%. Si tratta quindi di un fenomeno in crescita. Ma non è sempre stato così. La partecipazione elettorale in Italia nel secondo dopoguerra era tra le più elevate al mondo con tassi di affluenza alle urne sopra il 90%. Dagli anni Novanta anche da noi gli elettori iniziarono a mostrare segnali di disaffezione alla politica e l’affluenza iniziò gradualmente a calare.
Nel 1991 il Partito comunista italiano si sciolse per divenire il Partito democratico della sinistra. Due anni prima c’era stato il crollo del Muro di Berlino e alla fine dello stesso anno si sciolse l’Unione sovietica. L’anno successivo, nel 1992, l’inchiesta giudiziaria di Tangentopoli spazzò via i partiti di governo. La Democrazia cristiana, il partito che per 48 anni fu il più votato alle consultazioni politiche si sciolse all’inizio del 1994. Dunque, nel giro di pochi anni, si assistette alla destrutturazione del sistema partitico che aveva dominato la scena politica per mezzo secolo. I due maggiori partiti avevano una rete territoriale capillare – i circoli per il Pci e le parrocchie per la Dc – che gli permetteva di essere in diretto contatto con il loro elettorato di riferimento. La “Repubblica dei partiti”, con tutti i suoi difetti, permetteva di attuare l’art. 49 della Costituzione laddove prevede che “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Con la loro fine i partiti hanno smesso di fungere da strumento di collegamento e mediazione tra società e politica. Sempre più è aumentata la distanza tra cittadini e partiti. Distanza sancita anche dagli ultimi dati dell’Eurobarometro 2022 che rilevano come il Parlamento italiano goda della fiducia di appena il 29% dei cittadini. I partiti sono visti come apparati autonomi di potere non più al servizio dei cittadini. In Italia, più che negli altri paesi europei, la sfiducia verso i partiti ha raggiunto livelli eclatanti.
Tra i tanti fattori che portano a questa situazione, preoccupante per la democrazia italiana, vi è anche la legge elettorale. Si tratta di un tassello fondamentale nell’ingegneria costituzionale. Non tutti sanno che si tratta di una legge ordinaria, ragion per cui è stata modificata ripetutamente negli anni. A differenza delle leggi costituzionali che necessitano invece di un lungo iter e di ampie maggioranze per essere approvate definitivamente.
La Legge elettorale attualmente in vigore – detta “Rosatellum” – prevede un sistema misto: i parlamentari sono eletti per un terzo in collegi maggioritari – viene eletto il candidato più votato – e per due terzi con un sistema proporzionale.
Ora, questo sistema elettorale non permette di esprimere preferenze tra i candidati ma solo di scegliere il partito cui sono collegati una lista fissa di candidati oppure di indicare il candidato nel collegio uninominale. I “listini bloccati” non sono, quasi mai, scelti neanche dalle assemblee dei partiti in maniera trasparente e democratica, ma decisi dai leader. La vera scelta dei nostri rappresentanti è in gran parte avvenuta nelle settimane antecedenti al deposito delle liste a metà agosto.
Dunque, se si vuole rinvigorire la fiducia e la partecipazione democratica dei cittadini, allora occorre non solo modificare la legge elettorale, ma anche le regole di partecipazione interna ai partiti. Questi non sono nati per essere strumenti di potere ma per fare “vera” politica: la ricerca del bene comune, condizione necessaria per il massimo sviluppo della persone umana.