Nel 1994 l’Assemblea Generale dell’Onu ha fissato la data del 15 maggio per la Giornata Mondiale della Famiglia, riconoscendo che è il “fondamentale gruppo sociale e l’ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare i bambini”. Dunque, ricorre oggi il 26esimo anniversario, e qualche considerazione è d’obbligo. Non credo sia utile sciorinare affermazioni di circostanza, laudatorie e politicamente corrette, spesso utilizzate come fumo negli occhi, per nascondere la pesante realtà in cui oggi vive l’istituto famigliare. Credo, al contrario, che sia opportuno cogliere l’occasione per affrontare con chiarezza e lucidità il momento drammatico cui è sottoposta la famiglia ai nostri giorni.
Con realismo e con verità dobbiamo avere il coraggio di dire che la famiglia è sotto attacco. Un attacco che si concretizza in misure legislative, economiche, giuridiche aventi tutte una stessa radice politico- culturale: la destrutturazione (e, quindi, l’annientamento) della “società naturale fondata sul matrimonio”, come recita la nostra Costituzione. Nel nostro Paese è molto facile individuare le tappe di questa strategia, che si materializza in atti legislativi a partire dal 1970, legge sul divorzio, 1978 legge sull’aborto, 2004 legge sulla fecondazione artificiale, 2016 legge sulle cosiddette unioni civili, 2017 legge sull’eutanasia. Nel mirino c’è sempre lei: la famiglia, frammentata, destrutturata, spersonalizzata, diluita, sfilacciata nei forti legami esistenziali che la caratterizzano, così da renderla insignificante sul piano culturale e sociale.
Correttamente qualcuno ha detto che “quando tutto è famiglia, niente è più famiglia”. Decriptando, vuol dire che quando ogni forma di legame affettivo, sentimentale, sessuale, sociale ha valore di famiglia; quando le alchimie della riproduzione artificiale annullano la complementarietà del rapporto coniugale, quando la culla degli affetti forti che curano vite fragili e deboli, nascenti o terminali, viene indebolita dal diritto di morire, vuol dire che l’obiettivo di questo “nuovo umanesimo” è l’annullamento della famiglia. Perché? Perché la famiglia è un “corpo intermedio” forte e resiliente, che si frappone fra il potere dello Stato e la società civile, e per questo fa paura ad ogni forma di totalitarismo, dalla Rivoluzione Francese ad oggi.
A metà dell’‘800 Marx ed Engels misero nero su bianco che se una dittatura vuole affermarsi, deve togliere di mezzo due “pericolosi ostacoli”: la religione e la famiglia. Lo strumento può essere violento, rivoluzionario, oppure “democratico”, soft e indolore, senza spargimento di sangue, utilizzando atti legislativi ed amministrativi che annullino un riconoscimento sociale privilegiato all’istituto famigliare naturalmente fondato. Non è da meno la strategia economica. Guardiamo che cosa sta accadendo proprio in questi giorni di emergenza Covid. Mentre da un lato il carico sociale più oneroso (lockdown) è caduto sulle famiglie – e ringraziamo il Cielo che nel nostro Paese ci sono ancora tante famiglie, con legami parentali forti fra genitori, nonni e figli – dall’altro si registra una disattenzione quasi completa ai bisogni economici delle famiglie.
E’ una strategia sbagliata, insipiente e miope, perché il bene del Paese significa innanzitutto bene della famiglia, che da sempre è il più grande ammortizzatore sociale della storia. Il “sistema paese” ha il suo cuore pulsante nella famiglia: chiunque rema contro è destinato al fallimento, e la storia ne è il testimone più veritiero. L’”ordo succedentium generationum” – nonni, genitori, figli – è il fondamento dell’”ordo naturae” e dell’ “ordo civilitas” che, con buona pace di tutte le colonizzazioni ideologiche, non potrà mai essere annullato. E non dobbiamo mai dimenticare, noi credenti, che la famiglia è istituzione divina, prima ancora che umana, atteso che il Dio Incarnato ha scelto di nascere e crescere “in sapienza, età e grazia” in una famiglia, con un Papà ed una Mamma in carne ed ossa.