Le scuole rimarranno chiuse fino al tre aprile. Siamo arrivati a questa data per tappe successive, e per progressivo ampliamento delle aree territoriali coinvolte nei provvedimenti di sospensione delle attività. Che all’inizio, quando le misure fissavano la scadenza dell’8 marzo, prevedevano vera e propria chiusura dei locali nella cosiddetta zona rossa, con divieto di accesso per tutti, e sospensione delle attività didattiche per le altre aree coinvolte, peraltro ancora circoscritte. La sospensione delle attività didattiche significava locali comunque aperti, uffici di segreteria in normale attività, possibilità di riunioni eventualmente già programmate.
In rapidissima successione, abbiamo visto prima prorogare al 15 marzo e infine al 3 aprile per tutto il territorio nazionale la sospensione delle attività didattiche, col blocco delle riunioni collegiali, e la raccomandazione sempre più pressante di organizzare il lavoro con modalità che consentissero di contenere al minimo la mobilità del personale. Che questa sia l’assoluta priorità per contrastare la diffusione del contagio è ormai chiaro a tutti, abbiamo quasi esaurito gli aggettivi con cui descrivere una situazione inimmaginabile solo qualche settimana fa. Il decreto 11 marzo 2020 mette di fatto l’Italia intera in quarantena, la scadenza del 3 aprile, che all’inizio ci sembrava un’enormità, potrebbe essere suscettibile di ulteriori proroghe.
A questo punto ci sembra ragionevole pensare a un provvedimento di vera e propria chiusura, con la speranza che duri il minor tempo possibile. Il lavoro degli uffici di segreteria, affidato ormai prevalentemente a sistemi on line, può essere organizzato senza richiedere necessariamente una diretta presenza negli uffici. Se vale il principio di evitare tutti gli spostamenti non necessari, in nome di un interesse collettivo – dovrebbe essere ormai chiaro a tutti – e non solo del singolo lavoratore, credo che una scuola in cui è sospesa la presenza degli alunni possa e debba rimanere chiusa.
Non mancano, nel nostro Paese, esperienze anche molto significative di didattica a distanza, praticate in molte scuole e sempre più diffuse nel circuito delle attività di formazione promosse da soggetti diversi. Abbiamo università telematiche, corsi di formazione affidati a webinar, la stessa rete radio televisiva offre opportunità che in caso di necessità potrebbero essere significativamente ampliate. È chiaro che le nuove tecnologie e la rete del web hanno potenzialità enormi, ma i più anziani di noi ricordano bene uno straordinario esempio di didattica a distanza, “Non è mai troppo tardi”, che col maestro Alberto Manzi contribuì non poco all’alfabetizzazione del Paese.
Detto questo, è chiaro che questo tipo di didattica non si improvvisa, e che patisce condizionamenti di non poco conto legati soprattutto alla disponibilità e affidabilità delle reti informatiche, oltre che della necessaria dotazione individuale. Basti pensare al caso di famiglie con più figli in età diversa per rendersi conto della difficoltà di trasformare ogni abitazione in una sorta di aula virtuale.
Questa emergenza ci spinge, fra le altre cose, ad intraprendere con più decisione percorsi di acquisizione diffusa delle competenze necessarie per poter sfruttare canali e strumenti oggi a nostra disposizione, valorizzando le esperienze già realizzate perché diventino quanto più possibile patrimonio comune. Il senso della sperimentazione, di ogni sperimentazione, dev’essere questo. Ciò detto, guai a pensare che la didattica a distanza possa modificare il senso profondo della scuola, come luogo privilegiato e insostituibile dell’incontro fra generazioni. Tutto ciò che riusciremo a mettere in campo nei prossimi giorni deve aiutarci a riflettere su come stare in aula una volta che potremo tornarci: solo così si può ben sperare che questi non siano giorni vuoti di senso.
Riscoprendo il valore altissimo e insostituibile di un insegnamento “in presenza” dove la presenza non si riduce a una specificazione di luogo ma prima e più appare una qualità dell’esserci. Detto questo, è ovvio che la didattica a distanza non deve ridursi alla semplice indicazione di cose da studiare e compiti da fare: specie per i più piccoli, è importante tenere vivo nei modi possibili il tessuto di relazioni e il clima che normalmente si vive nella propria classe, anche se momentaneamente impediti a frequentarla. Sul nostro sito (www.cislscuola.it) un maestro di scuola primaria ci racconta come farlo, senza bisogno di essere esperti di informatica, semplicemente utilizzando al meglio strumenti di uso comune, “riempiti” dei contenuti giusti. Che possono essere anche solo la lettura di un brano fatta dalla voce del proprio insegnante. Un esempio fra i tanti, vi invito a leggerlo.
Per gli esami di maturità non si potrà non tenere conto delle drammatiche circostanze che segnano lo svolgimento di quest’anno scolastico. Credo che si debba mettere in conto tutto, ivi compreso uno slittamento delle date che consenta di recuperare almeno in parte il tempo perduto a causa della sospensione delle lezioni. Vorremmo poter fare previsioni più certe, al momento credo sia del tutto impossibile.
Nella situazione che stiamo vivendo, che accanto a comprensibili paure e preoccupazioni fa emergere anche la consapevolezza di alcuni valori su cui si fonda una civile convivenza, non sono in grado di dare a questa domanda una risposta certa, legata a troppe variabili e incognite. Ma so per certo che vincere la battaglia che stiamo combattendo, a partire da una piena e scrupolosa assunzione di responsabilità personale sul piano dei comportamenti che ci viene chiesto di adottare, facendo propria l’assunzione del bene comune come obiettivo da perseguire insieme, potrà rappresentare per le generazioni più giovani un insegnamento prezioso per vivere meglio il loro domani. Sarà tutta la comunità, in questo modo, a farsi scuola, una preziosa scuola di vita.