Onori ed oneri. È il refrain che ronza attorno a chiunque abbia un incarico pubblico, ma forse i tempi sono cambiati. Abituati a misurare gli onori anche prendendo atto del plauso dei seguaci che esprimono la loro venerazione con qualche manifestazione social, viene da chiedersi in cosa si dovrebbero tradurre gli oneri raramente risolvibili con il magico clic del mouse o con una app miracolosa. Chi ha un ruolo – maturata la consapevolezza del suo significato – dovrebbe non fermarsi alla tanto semplice quanto incessante ricerca del facile consenso di fatui followers. Dovrebbe concentrare ogni energia per i gravami di diretta competenza arrivando a riconoscere la priorità degli impegni istituzionali, aziendali e professionali rispetto le legittime esigenze personali di svago e di riposo.
E così ha fatto discutere l’immagine del Ministro delle Infrastrutture che – a dispetto di chi lo immaginava immerso tra carte, faldoni e dossier – trova in atmosfera balneare l’opportunità di staccare dai drammi del viadotto di Genova o della nave Diciotti con il suo carico di disperati. Quando ero piccino (complice il ritrito “prima il dovere e poi il piacere”) non ci si poteva svagare se non si erano fatti i compiti. Ad alzare gli occhi dal greto del Polcevera o a guardare l’imbocco del porto di Catania, si ha la forse erronea impressione che il titolare del dicastero abbia lasciato la scrivania senza ultimare quel che gli toccava in sorte. Un tempo i leader politici – qualunque ne fosse la colorazione o l’anima – amavano farsi ritrarre “sul pezzo” in qualunque circostanza, a testimoniare (magari farisaicamente) l’indissolubile legame che li ancorava al bene collettivo o addirittura della Patria. Ma – come ho già scritto – i tempi forse sono cambiati.
Il diritto a riposarsi spetta a tutti. Ma prima ancora dovrebbe esser riconosciuto a chi ha scavato senza sosta tra le macerie del “Morandi” o a chi bordo della Diciotti sembra ostaggio del proprio dovere e colpevole di averlo fatto e di continuare a farlo. Nel tardo pomeriggio del 20 agosto un incendio ha devastato l’area della Torre Argentiera poco distante da Porto Santo Stefano. Oltre a quei santi dei Vigili del Fuoco sono intervenute parecchie squadre di volontari. Hanno tutti trascorso la notte a duellare con le fiamme riuscendo a spuntarla solo quando si faceva giorno. Una delle camionette dei volontari quando è scesa a valle si è fermata nella baia di Pozzarello. Sono scesi un gruppo di ragazzi, vestiti come i protagonisti di Ghostbuster, che – arrivati in spiaggia – si sono tolti le vistose tute arancioni e già armati di costumi da bagno si sono tuffati in acqua. Nessuno ha ripreso la scena, nessuno si è fatto immortalare, nessuno ha postato nulla sui social, ma per un attimo i pochi spettatori di quella scena hanno capito che quei giovani erano il miglior esempio per i loro coetanei e la più robusta speranza che questo Paese si possa rialzare. Quella meritatissima mezz’ora di pausa aveva il valore di una medaglia che mai nessuno consegnerà né a loro né alla moltitudine di persone che ogni giorno nei più disparati angoli dell’Italia si adoperano per qualcosa di utile per gli altri. Non amando il pur folkloristico turpiloquio che ha caratterizzato uno storico invito di tornare a bordo, credo venga in mente a molti di suggerire garbatamente al Ministro di “risalire la biscaglina” e riprendere il coordinamento delle operazioni cui il “costantemente raggiungibile per telefono” non sembra bastare.