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Pensioni: il Governo continua a tacere

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Nonostante le sollecitazioni dei sindacati il governo continua a tacere a proposito delle pensioni. Nel PNRR era stata inserita una frase sibillina che almeno confermava un orientamento ribadito più volte e apparentemente condiviso: quota 100 sarebbe venuta a scadenza a fine anno senza alcuna proroga mentre si sarebbero trovate soluzioni per i lavori disagiati. Evidentemente queste poche parole, nell’ambito della coalizione di maggioranza, erano state ritenute troppo impegnative e si era pensato bene di eliminarle nel testo finale portato prima all’esame del Parlamento poi inviato a Bruxelles. L’assordante silenzio di Mario Draghi e la riservatezza di stampo ligure del ministro Andrea Orlando hanno lasciato campo libero alle scorribande sindacali che diffondono – con la complicità dei media sempre benevoli quando si tratta di pensioni – la loro proposta (due opzioni per chi è nel regime misto: 62 anni di età con almeno 20 di anzianità contributiva oppure 41 anni di versamenti a qualsiasi età) come se fosse un risultato già acquisito (del resto il ministro Nunzia Catalfo glielo aveva quasi promesso).

Il premier Draghi conosce bene la questione, non ha bisogno di studiare alcun dossier. Anzi ha già avuto modo di pronunciarsi in materia. Certo da allora sono passati dieci anni, ma, come vedremo la situazione ritenuta critica allora non è sostanzialmente mutata, se non in peggio. I lettori avranno già compreso che il riferimento chiama in causa la lettera inviata al governo italiano e resa nota il 5 agosto del 2011, a firma congiunta di Draghi e Jean-Claude Trichet, poco prima che i due si dessero il cambio al vertice della BCE. Una delle prescrizioni impartite a Silvio Berlusconi era la seguente: ”intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico, rendendo più rigorosi i criteri di idoneità per le pensioni di anzianità”. Ricordiamo anche come è andata a finire: la situazione politica era ormai compromessa in modo irreparabile, lo spread era scappato di mano, i tassi di interesse dei titoli di Stato erano saliti a livelli insostenibili. Venne chiamato il governo dei tecnici, presieduto da Mario Monti (ecco l’importanza di chiamarsi Mario), con il compito di salvare il Paese dalla bancarotta.

Per incamminarsi sulla via della redenzione Monti incaricò il ministro Elsa Fornero di mettere mano ad una riforma delle pensioni che restituisse un po’ di fiducia sulle prospettive del Paese. Per eseguire  seriamente questa missione il principale nodo da sciogliere era proprio quello del pensionamento anticipato/anzianità, segnalato nella lettera fatidica, come la principale anomalia dell’ordinamento (da noi il numero dei trattamenti anticipati è superiore a quello di vecchiaia). In questa direzione si era mossa la riforma Fornero nel 2011, ma nella XVIII legislatura l’introduzione di quota 100 e delle misure affini sono tornate a collocare il trattamento di anzianità al centro del sistema, sia pure attraverso misure sperimentali e temporanee.

I sindacati pretendono di fare di più: perpetuare questa anomalia senza darsi minimamente pensiero dei trend demografici attesi che, coniugando denatalità e invecchiamento, creeranno problemi anche sul mercato del lavoro, nel rapporto tra domanda ed offerta, quest’ultima falcidiata appunto dalla crescente denatalità. La parola d’ordine è: superare la riforma Fornero. Ad osservare bene le proposte dei sindacati più che un superamento si tratterebbe di un arretramento di molti anni e di tante misure di correzione virtuosa del sistema. Peraltro la riforma del 2011 ha prodotto ben pochi danni, perché a dire la verità si è sempre trovato il modo di rinviarne l’applicazione. Basta pensare – come ha scritto Alberto Brambilla presidente di Itinerari previdenziali –  che tra salvaguardie per esodati  (ben 9) Quota 100, anticipi vari per precoci, Ape sociale e opzione donna, escludendo le cosiddette anticipate (quelle con 42 anni e 10 mesi, un anno in meno per le donne ovvero i requisiti ordinari ancorchè bloccati fino a tutto il 2026)  gli scampati alla legge Fornero sono stati 604mila a fine 2019 a cui si sono  aggiunti altri 170 mila nel 2020; oltre 770 in 9 anni, 85 mila l’anno su un totale di 16 milioni di pensionati.

Giuliano Cazzola: