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Pena di morte, quando la società non conosce il perdono

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È davvero complicato per una Società che non conosce il perdono, ma anzi alimenta l’odio, confrontarsi con la “pena di morte”. Dalla notte dei tempi, gli uomini hanno scelto di inserire nel sistema regolatore delle rispettive società la pena di morte, giustificandola come l’atto supremo di giustizia secondo lo slogan “occhio per occhio, dente per dente”. Questo ha consentito di eliminare fisicamente e definitivamente chiunque si opponesse al potere dominante, alle regole costituite – dispoticamente o democraticamente -, portando ad esecuzioni di tanti giusti, uomini e donne.

Purtroppo, ancora oggi si tratta di una pratica esecrabile non estinta, ed è per questo che anche quest’anno ci celebra la XVIII Giornata mondiale contro la pena capitale nata dall’iniziativa della Comunità di Sant’Egidio e con cui dal 2003, ogni 10 ottobre, la Coalizione mondiale contro la pena di morte invita le Ong, le reti, gli attivisti e le organizzazioni abolizioniste in tutto il mondo a mobilitarsi contro questa pratica crudele e disumana.

A bene pensarci, la pena di morte è una modalità estrema di “separazione” di coloro che sono vissuti come diversi e destabilizzanti, appartiene a quei fenomeni populistici, che puntano alla difesa di una razza, di un genere, di una religione.

È importante sapere che la pena di morte è ancora molto presente nel mondo. A fronte di 142  paesi che hanno abolito nella legge o nella prassi la pena di morte (e, di questi, 106 l’hanno abolita dal loro ordinamento per qualunque reato), nel 2019 ci sono state 657 esecuzioni capitali in 20 paesi. La maggior parte hanno avuto luogo in Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq ed Egitto. Resta, peraltro, impossibile valutare quel che accade in Cina, dove il numero delle esecuzioni, stimate in alcune migliaia, è ancora considerato «segreto di Stato». Altri paesi con numeri alti di esecuzioni, tra i quali Iran, Corea del Nord e Vietnam, continuano a nascondere il loro pieno ricorso alla pena di morte limitando l’accesso alle informazioni in merito. Le esecuzioni sono state eseguite con queste modalità: decapitazione, elettrocuzione, impiccagione, iniezione letale e fucilazione.

A fine 2019 erano almeno 26.604 le persone condannate a morte nel mondo. Accanto a queste altre centinaia di migliaia vivono in una condizione di “condanna a morte di fatto”, rinchiusi in strutture carcerarie inumane e senza alcuna tutela giuridica dalla loro parte. Ciò che emerge dalle cronache – si pensi a casi come quello di Giulio Regeni o a quello di Jamal Khashoggi – non è certamente meno efferato di una condanna a morte “certificata” ed è solo la punta di un iceberg molto grande, quasi sconfinato in alcune parti del mondo.

Ecco perché la Coalizione ha deciso di concentrare l’attenzione sul diritto ad un’adeguata rappresentanza legale per chi rischia la condanna a morte. Diritto che, nonostante sia garantito dalla maggior parte delle Costituzioni nazionali e dai principali trattati internazionali, non sempre viene applicato nella realtà. Capita abbastanza spesso di scovare persone condannate a morte o a pene lunghissime per un generico “atto contrario al regime” e capita quasi sempre che questo lungo periodo di privazione della libertà abbia come esito la morte.

La Coalizione mondiale contro la pena di morte si oppone incondizionatamente alla pena di morte, ritenendola una punizione crudele, disumana e degradante. La pena di morte viola il diritto alla vita, è irrevocabile e può essere inflitta a innocenti. Non ha effetto deterrente e il suo uso sproporzionato contro poveri ed emarginati è sinonimo di discriminazione e repressione.

Vale la pena, seguendo questo filo logico, accennare ad altre pratiche che – pur non prevedendo una esecuzione capitale – sostanziano la privazione della libertà e della stessa vita, hanno portato tanti esseri umani a togliersi la vita, ritenendo di averla perduta per sempre. Mi riferisco all’ergastolo ostativo, cioè l’ergastolo che osta alla concessione dei benefici penitenziari al condannato per reati di particolare gravità, quali i delitti di criminalità organizzata, terrorismo, eversione, ove il soggetto non collabori con la giustizia, in atto ancora presente nell’ordinamento giuridico italiano

Istituito dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, nel clima di allarme sociale creato dall’uccisione del magistrato antimafia Giovanni Falcone, è stato “condannato” dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che lo ha giudicato incompatibile con l’articolo 3 della Convenzione europea e con il principio della dignità umana. Anche la Corte costituzionale italiana recentemente ha dichiarato che la presunzione assoluta di pericolosità sociale del condannato, sulla base dell’assunto che il rifiuto di collaborazione equivalga a perdurante pericolosità, è illegittima, in quanto non solo irragionevole, ma in violazione dell’articolo 27, comma 3, della costituzione, che sancisce la funzione rieducativa della pena ed implica, quindi, la progressività trattamentale e la flessibilità della pena, contro rigidi automatismi.

L’ergastolo torna così ad essere quello che è sempre stato: l’ambiguo luogotenente della pena capitale, «una pena di morte nascosta» (come lo chiama Papa Francesco). Proprio il Santo Padre porta avanti ormai da tempo una campagna contro la Pena di morte, contro tutte le forme di detenzione a vita che confondono l’uomo con il suo errore.

Nella Lettera enciclica “Fratelli tutti” (punto 266), Papa Francesco così si esprime: “Le paure e i rancori facilmente portano a intendere le pene in modo vendicativo, quando non crudele, invece di considerarle come parte di un processo di guarigione e di reinserimento sociale. Oggi, «tanto da alcuni settori della politica come da parte di alcuni mezzi di comunicazione, si incita talvolta alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge.”

“Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. […] L’ergastolo è una pena di morte nascosta”.

È illuminante il Santo Padre quando, durante il Giubileo dei carcerati, al casaro che gli offriva il “formaggio del Perdono” dicendo: “Santità, queste mani che hanno fatto del male, adesso fanno del bene”, risponde: “Attento! Non esiste santo senza un passato, e non esiste un peccatore senza futuro!”

“Se io stesso fossi un giusto, forse non ci sarebbe neppure il delinquente davanti a me” (Dostoevskij)…è la “banalità del bene”, è l’idea di una società, di una comunità fondata sul bene, all’interno della quale anche il delinquente più incallito ritrova le ragioni per essere bene per gli altri. Nessun male va sottovalutato o dimenticato, ma è necessario vivere in un mondo in cui la vittima e il reo hanno la possibilità di riconciliarsi, hanno la possibilità di ridare senso alla vita.

Ecco perché di fronte ad affermazioni come: “Gli assassini non hanno diritto ad avere un’altra possibilità perché le persone che hanno ucciso non avranno una seconda possibilità perché ormai sono morte. Quindi è giusto che chi ha ucciso non abbia una seconda possibilità” si deve rispondere che “A volte una possibilità, una sola, ti può cambiare la vita.”

Sono parole di Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo ostativo e “salvato” dalla Comunità Papa Giovanni XXII, che ha fatto del “cammino del perdono” un’esperienza concreta, grazie ai CEC – Centri Educativi per i Carcerati, che sono vere palestre di vita. Gesù diceva a Pietro: “Perdonare sempre, perdonare tutti, perdonare una infinità di volte, giacché non esistono uomini senza peccato e perciò nessuno è in grado di punire e condannare.”

La pena di morte è un atto efferato contrario al diritto alla vita e la vita non è in alcun modo nelle mani dell’uomo, in nessuna situazione. Non la da l’uomo e neppure può toglierla.

Mobilitiamoci tutti per l’abolizione universale della pena di morte e di ogni pena ingiusta perché privativa dalla vita e mentre si lavora verso l’abolizione totale e completa della pena di morte nel mondo per tutti i crimini, evidenziamo la necessità che, in tutte le fasi del procedimento giudiziario, coloro che devono affrontare la punizione crudele, inumana e degradante dell’esecuzione abbiano accesso a un’effettiva rappresentanza legale. Nessuno venga lasciato solo.

Edoardo Barbarossa: