In questi giorni sta girando la notizia che è in via di elaborazione il nuovo Piano Pandemico 2012-2023, elaborato del Ministero della Salute e che dovrebbe essere sottoposto alle Regioni, andando a sostituire il precedente, datato 2006. In una bozza in circolazione si dichiara che punto di riferimento di questo nuovo piano deve necessariamente essere la lezione appresa dalla pandemia Covid-19 tuttora in corso, con la necessità di contestualizzarlo nell’ambito dell’attuale crisi sanitaria globale.
Un passaggio cruciale è rappresentato dal come affrontare il tema/problema della limitatezza delle risorse a disposizione, rispetto alle necessità terapeutico/assistenziali che un’emergenza pandemica comporta. Anche nel dibattito sanitario, etico e deontologico, è ormai di grande attualità il tema di “scegliere chi curare”, se le risorse sono scarse. In quel testo/bozza si leggerebbe che “quando la scarsità rende le risorse insufficienti rispetto alla necessità, i principi di etica possono consentire di allocare risorse scarse in modo da fornire trattamenti necessari preferenzialmente a quei pazienti che hanno maggiore possibilità di trarne beneficio”.
Proprio nei giorni scorsi, ad esempio, c’è chi – vergognosamente – sui social scarica rabbiosi ed ingiuriosi epiteti contro le persone anziane che si fanno vaccinare, sottraendo, a parer loro, dosi a persone giovani ed efficienti che ne trarrebbero maggiore utilità, anche per la società. Il Comitato Nazionale di Bioetica ha espresso, su questo tema, un documento di grande chiarezza pochi mesi fa, dietro la spinta di un documento della SIAARTI, Società dei Medici Anestesisti e Rianimatori, ribadendo con forza che il criterio di riferimento in ogni circostanza d’intervento terapeutico non può, né potrà mai essere, il criterio dell’età del paziente.
Tradotto in termini operativi: nessuno può essere aprioristicamente escluso da un trattamento terapeutico sulla base del proprio dato anagrafico. Ricordo il mio professore di Medicina Legale all’Università, quando ci ripeteva che, nella valutazione dei criteri di proporzionalità di cura, “l’età del paziente conta come il due di coppe quando la briscola è spade”. La scelta terapeutica non può che avere due “stelle polari” cui riferirsi: la proporzionalità e l’appropriatezza della terapia.
Mentre ci auguriamo che questa “bozza” – se tale si confermerà – possa essere rivista alla luce dei principi e valori già indicati, possiamo arricchire il nostro orizzonte etico e deontologico, alla luce del Messaggio che il Santo Padre Francesco ci ha inviato per la XXIX Giornata Mondiale del Malato. Due passaggi sono illuminanti per questo dibattito: “La malattia ha sempre un volto: il volto di ogni malato e malata …. Agli anziani, ai più deboli e vulnerabili non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa”.
Giungendo alla conclusione che “Una società è tanto più umana quanto più sa prendersi cura dei suoi membri più fragili e sofferenti, e sa farlo con efficienza animata da amore fraterno … facciamo in modo che nessuno resti da solo, che nessuno si senta escluso e abbandonato”. Il Papa ci ricorda la dignità di ogni persona umana, che non conosce limiti legati all’età e/o alle qualità sociali che è in grado di esprimere. Di più, una società può dirsi veramente “civile” quando abbandona ogni tipo di attacco alla vita, dal concepimento alla morte naturale.
“Io faccio questa domanda: è giusto cancellare una vita umana per risolvere un problema, qualsiasi problema”; “scartare i bambini … scartare gli anziani … scartare gli ammalati … scartare i migranti … questa è la cultura dello scarto” (intervista al TG5, 10 gennaio 2021), Da parte nostra, l’impegno di operare proprio nella direzione opposta, quella della “cultura della vita”, ove non c’è posto per eutanasia, aborto ed altre nefandezze del genere.