Il programma di governo di papa Francesco è il Vangelo. Inutile inseguire il progetto del pontificato di Jorge Mario Bergoglio nei suoi discorsi o nelle sue omelie. Tutto è stato scritto due millenni fa. Con Francesco è centrale nell’Ecclesia l’ispirazione evangelica che il Concilio Vaticano II si era impegnato a riportare al soffio iniziale. Francesco ha provocato uno slancio di ritorno al Vangelo. Ha fatto rinascere un bisogno di vivere la fede soprattutto facendo riferimento al vangelo prima di ogni altra dottrina o spiritualità. Ma resta la domanda posta da Enzo Bianchi.” Noi siamo capaci di dare il primato al Vangelo che è Gesù Cristo in tutto ciò che preghiamo, viviamo, sentiamo, operiamo in questo mondo nella compagnia degli uomini?”. Francesco sprona a “trovare nuovi linguaggi, nuove vie e nuovi strumenti” per dare più slancio alla fede. Non si tratta di custodire delle ceneri, bensì di alimentare un fuoco che “arda in maniera sempre nuova e riscaldi la Chiesa e il mondo”. Una ricchezza che deve “restare aperta alle suggestioni dello Spirito Santo. Alla perenne novità del Vangelo. Ai segni che il Signore ci dona attraverso la vita e le sfide umane”.
“Riscopriamo il Concilio per ridare il primato a Dio, all’essenziale. A una Chiesa che sia pazza di amore per il suo Signore e per tutti gli uomini, da Lui amati. A una Chiesa che sia ricca di Gesù e povera di mezzi. A una Chiesa che sia libera e liberante- esorta il Pontefice-. La Chiesa sia abitata dalla gioia”. Jorge Mario Bergoglio, primo papa a non aver preso parte al Vaticano II, ha come filo rosso del suo pontificato la realizzazione e l’attualizzazione della primavera conciliare. Il magistero di Francesco va interpretato e vissuto alla luce del Vaticano II. Una conferma di ciò la offre lo stesso Pontefice arrivato, per sua celebre autodefinizione nel primo saluto ai fedeli in piazza San Pietro, “quasi dalla fine del mondo”. 16 aprile 2013, Francesco è papa da poco più di un mese. Nel giorno del compleanno di Benedetto XVI, ricorda l’azione di Ratzinger per il Vaticano II, “da vivere e non solo da celebrare”. Parole profetiche, quelle di Francesco, rispetto alla sua azione di riforma radicale della Chiesa e alle resistenze che essa incontrerà negli anni successivi nei settori più conservatori della Curia romana e degli episcopati nazionali. Il Concilio è frutto dello Spirito, ma in molti vogliono tornare indietro.
“Abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio? Abbiamo agito in quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio?”. A porre queste domande, fresco di “Habemus papam“, è stato proprio Francesco. Utilizza il termine “continuità” citando così l’interpretazione di Benedetto XVI nell’importante discorso del 20 dicembre 2005 alla Curia romana. Quello sull’ermeneutica della continuità che si oppone a quella della rottura. Francesco fa capire subito di che pasta è fatto e risponde
che “no”, il Concilio è rimasto largamente inapplicato. Dunque il Concilio Vaticano II ha rappresentato un’occasione storica per una grande rivoluzione ecclesiastica, che però non si
è ancora del tutto concretizzata. Grazie allo spirito conciliare, la Chiesa si è aperta al mondo, ma numerosi passi avanti devono essere ancora compiuti. “Celebriamo il Concilio, facciamo un monumento, purché non dia fastidio. Non vogliamo cambiare”, mette subito in chiaro. Niente mezze misure, il vento conciliare soffia come un uragano sulle coscienze intorpidite dal conformismo.
“Succede lo stesso anche nella nostra vita personale“, avverte Jorge Mario Bergoglio. “E lo Spirito ci spinge a prendere una strada più evangelica ma noi resistiamo”. Il monito di Francesco è perentorio e fuga il campo da equivoci. Non si illudano i nemici del Concilio di poter opporre resistenza allo Spirito Santo. Perché “è lo Spirito che ci fa liberi, con quella libertà di Gesù, con quella libertà dei figli di Dio”. Una prospettiva di governo della Chiesa che si sostanzia di abbandono a Dio. Il Papa sprona a non opporre resistenza allo Spirito. Questa, secondo Francesco, è la grazia che io vorrei che tutti noi chiedessimo al Signore. La docilità allo Spirito Santo, a quello Spirito che viene da noi. E “ci fa andare avanti nella strada della santità, quella santità tanto bella della Chiesa”. Ecco, dunque, “la grazia della docilità allo Spirito Santo”. Il Papa conosce le difficoltà del rinnovamento conciliare. Lo Spirito è Dio e Lui è “quel vento che va e viene e tu non sai da dove”. Per Francesco è la forza di Dio. E’ “quello che ci dà la consolazione e la forza per andare avanti“. Quindi “bisogna andare avanti”. E ciò dà fastidio perché “la comodità è più bella”. La speranza del Vangelo è diversa dalle illusioni fondate sui calcoli umani. “Significa abbandonarsi a Dio. Imparare a leggere i segni che ci dona per discernere il futuro. Saper fare qualche scelta audace e rischiosa anche se sul momento rimane ignota la meta verso cui ci condurrà. Non affidarsi soltanto alle strategie umane”