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Il pontificato come servizio. Il messaggio di papa Francesco

Sul volo di ritorno dal Canada papa Francesco ha ribadito la possibilità delle dimissioni nell’ottica del pontificato come servizio. “La porta è aperta”, ha detto il papa ai giornalisti. Le dimissioni sono “una opzione normale“. Ma “fino ad oggi non ho bussato a questa porta. Non ho detto andrà in questa stanza, non ho sentito di pensare a questa possibilità. Ma questo non vuol dire che dopodomani non cominci a pensare, no? Ma in questo momento sinceramente no. Anche questo viaggio è stato un po’ il test. E’ vero che non si possono fare viaggi in questo stato. Si deve forse cambiare un po’ lo stile. Diminuire. Pagare i debiti dei viaggi che ancora si devono fare, risistemare. Ma sarà il Signore a dirlo. La porta è aperta, questo è vero“.PapaIl pontificato come servizio agli ultimi. Un’impostazione ecclesiologica di matrice conciliare. Due anni dopo la conclusione del Vaticano II, Paolo VI scrisse l’enciclica “Populorum Progressio”. Una risposta all’incalzante domanda sollevata dalla presa di posizione del Concilio nella sua fase finale. Chiesa al servizio, ma di quale umanità? E la diede concretezza sorprendente. Profetica. E persino inquietante. Non mancò chi tacciò  Papa Montini di assumere una prospettiva comunista. Tale era il peso che egli attribuiva nell’enciclica al fattore economico per definire della situazione mondiale. Su questa scia si collocarono, ognuna con sfumature proprie, le Conferenze generali dell’episcopato latinoamericano post-Concilio. Nel 1968 si celebrò a Medellín (Colombia), con la presenza iniziale di Paolo VI.  PapaFiglio del suo continente e del Concilio, Jorge Mario Bergoglio non partecipò alla Conferenza di Medellín. E nei suoi scritti, sottolinea il teologo salesiano argentino don Luis Gallo, non c’è nessun esplicito riferimento ad essa. Ma dall’insieme dei suoi scritti e soprattutto dai suoi atteggiamenti e comportamenti pastorali posteriori, si può cogliere quanto ne abbia assimilato lo spirito. Tra i suoi scritti ne è un esempio emblematico la descrizione da lui fatta nel volume “Solo l’amore ci può salvare“, nel capitolo intitolato “Il coraggio di annunciare il Vangelo” (2006), della figura di monsignor Enrique Angelelli. Il vescovo di La Rioja che aveva incarnato pienamente lo spirito di Medellín. Fino a venire violentemente eliminato dal regime militare, nel 1976. Per il suo impegno in difesa dei più poveri. E che è stato, come asserì Jorge Mario Bergoglio nel suo scritto, “testimone della fede versando il proprio sangue”.PapaAlla Conferenza di Puebla, invece, Bergoglio, che non era ancora vescovo, vi partecipò
da superiore provinciale dei gesuiti argentini (1973-1979). Nel libro “Noi come cittadini, noi come popolo” ne fa una sola citazione esplicita. Ma l’influsso si vede lungo tutto lo scritto. E soprattutto nella sua prassi pastorale posteriore come vescovo. Egli, infatti, aveva fatto suo il binomio-chiave “comunione e partecipazione“. Cioè il filo conduttore della Conferenza di Puebla nelle sue opzioni per una nuova evangelizzazione. Jorge Mario Bergoglio era invece vescovo da pochi mesi quando partecipò alla conferenza di Santo Domingo. Qualche anno dopo, il 30 settembre 2009, ne parò, già da cardinale, in un convegno organizzato dall’ Università gesuita del Salvador a Buenos Aires. E fece un riferimento al documento della Conferenza di Santo Domingo. Nel punto in cui esso afferma che “la povertà estrema e le strutture economiche ingiuste causano grandi disuguaglianze“. E sono “violazioni dei diritti umani”.

Papa
Fonte: Vatican News

Ma fu soprattutto ad Aparecida che la sua partecipazione e il suo ruolo spiccarono in maniera rilevante. Fu relatore dell’Assemblea  anche estensore del suo documento. Successivamente, poco prima di essere eletto papa, scrisse la Lettera all’Arcidiocesi
di Buenos Aires per l’Anno della Fede. Intitolata “Varcare la soglia della fede” (2012), E affermò che varcare la soglia della fede significa tra l’altro “vivere nello spirito del Concilio e di Aparecida“.

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