Papa Francesco testimonia che non c’è pace senza dialogo. La pace, secondo Jorge Mario Bergoglio, è frutto di un grande progetto politico. Si basa sulla responsabilità reciproca e sull’interdipendenza degli esseri umani. Ma è anche una sfida che chiede di essere accolta giorno dopo giorno. La pace è una conversione del cuore e dell’anima. Ed è facile riconoscere la dimensione indissociabile della pace interiore e comunitaria. Teologia e filosofia si intrecciano nell’interpretazione del pontificato della misericordia.Il prelato argentino Mariano Fazio è amico di lunga data di Jorge Mario Bergoglio. Il Pontefice, racconta il teologo Fazio, ha “un legame molto forte con san Giovanni XXIII”. Lui stesso ha riferito che, appena nominato papa, uno dei nomi a cui aveva pensato– prima di scegliere Francesco– era stato proprio Giovanni XXIV. La prospettiva di papa Bergoglio, secondo Fazio, si ritrova nel discorso di apertura del Concilio nel 1962. Quando san Giovanni XXIII definì “profeti di sventura” coloro che vedono nei tempi contemporanei solo condizioni avverse. Lo stesso discorso è citato nella “Evangelii Gaudium” per parlare dell’ottimismo cristiano di fronte all’epoca attuale. Stesso discorso ripreso poi anche nella bolla di indizione dell’Anno Santo straordinario della Misericordia. Per una Chiesa capace di “mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati”.Da san Giovanni XXIII, papa Francesco eredita la spinta al rinnovamento della Chiesa. Ma anche lo stile di vicinanza, semplicità e buonumore, di una Chiesa vicina alle ferite dell’uomo contemporaneo. Il Concilio fu una grande occasione di rinnovamento spirituale che ha investito la Chiesa a tutte le latitudini. È un fatto che l’America Latina ha accolto subito l’eredità del Concilio. Fin dalla seconda conferenza generale dell’episcopato sudamericano tenutasi nel 1968 a Medellín Jorge Mario Bergoglio si muove in quest’orizzonte. Non è un caso che il documento da lui più citato, fin dai tempi del suo ministero episcopale, è la Evangeli Nuntiandi di Paolo VI. Il testo che più ha calato gli insegnamenti del Concilio nella realtà della Chiesa. Un documento ripreso anche nel suo discorso alle Congregazioni Generali prima del Conclave che lo avrebbe eletto. In Francesco, a giudizio di Fazio, è presente in modo speciale l’importanza del ruolo dei laici sottolineata dal Concilio. Più volte il Pontefice ha fatto riferimento al Giappone che rimase per secoli senza sacerdoti e dove i laici continuarono a mantenere viva la fede nella comunità cristiana. Si potrebbe dire che Francesco è un anticlericale, in senso positivo: ritiene che i laici abbiano un compito insostituibile nella società. Tutto questo però non va ridotto solo alla sua origine latinoamericana, se si pensa che Buenos Aires – dove ha potuto maturare questi tratti pastorali distintivi – è una metropoli molto secolarizzata. Con sfide del tutto simili a quelle di tante città occidentali ed europee. Per Fazio il Vaticano II può essere considerato come programma del pontificato di Francesco, co- 191 sì come lo è stato dei pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. L’azione di Jorge Mario Bergoglio si basa, dunque, sulla continuità ma ha tutta la ricchezza di uno stile diverso. Gli ultimi pontefici sono stati tutti profondamente conciliari, a partire da Paolo VI. Fazio fa riferimento in particolare allo slancio apostolico di Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI con il suo discorso sull’ermeneutica del Concilio. Giovanni Paolo II completò tutti i testi liturgici, canonici e pastorali indicati dal Concilio, portando a termine l’opera di Paolo VI che lui chiamava “mio padre”. Benedetto XVI, poi, è stato uno dei più grandi esperti del Concilio, fu un aiuto essenziale per Giovanni Paolo II nell’opera di completamento dei documenti, come il Catechismo. Realizzando a sua volta il Compendio del Catechismo, che promulgò da Pontefice.Il suo ultimo discorso memorabile, a braccio, con i seminaristi di Roma, sull’ermeneutica del Concilio e il suo rapporto con i media, rimane una pietra miliare.
Nella predicazione di Francesco la lezione del Vaticano II è più evidente secondo Fazio nel concetto di Chiesa come popolo di Dio. Un concetto centrale del Concilio. Francesco spesso si riferisce alla Chiesa come il “santo pueblo fiel de Dios”. E influisce in questo anche la teologia del popolo che sorge anche dal Concilio e vede Bergoglio nella stessa linea del pensatore uruguaiano Alberto Methol Ferré e del teologo italo-argentino Lucio Gera. Un programma di governo contemplativo, quindi. E quello dell’unità dei cristiani è un obiettivo centrale del Concilio. Il filo rosso che unisce san Giovanni XXIII e Francesco è anche lo stile aperto, affabile, paterno, che cerca di far cadere muri. Uno stile e un obiettivo, secondo Fazio, perseguito anche dagli altri pontefici. Paolo VI e i ponti che seppe costruire con le Chiese ortodosse. Rimangono storici i suoi incontri con Atenagoras.Giovanni Paolo II si dedicò molto al dialogo interreligioso, con i suoi viaggi nei cinque continenti, e la sua stessa presenza ad aprire strade di dialogo. Nel dialogo con gli ortodossi è stata determinante la sua enciclica Ut Unum Sint, così come è ancora vivo il ricordo del suo viaggio in Romania a Bucarest nel 1999 mentre la folla gridava in coro “unitate, unitate” davanti a lui ed al patriarca Teoctist. Anche Benedetto XVI mise la sua capacità teologica al servizio dell’unità, ottenendo continui passi di avvicinamento non solo con gli ortodossi. Ma anche con il mondo luterano e protestante. Per quanto riguarda Francesco, è fondamentale l’esperienza ecumenica in Argentina. Buenos Aires, durante il suo periodo come arcivescovo, divenne capitale mondiale del dialogo ecumenico e interreligioso. Francesco, anche grazie alla sua provenienza extraeuropea, subisce una minore pressione dei vincoli culturali e geografici che da sempre caratterizzano i rapporti con il mondo ortodosso.
Il dialogo come unica via alla pace. Testimonianze dal Soglio di Pietro
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