Dalla crisi Covid usciranno istituzioni europee probabilmente più forti sul piano economico grazie all’azione della Banca centrale europea e al Pnrr, il piano di ripresa e resilienza. C’è una timida apertura verso la mutualizzazione dei debiti pubblici che vedremo se sarà consolidata in futuro, ma è un segnale verso una maggiore coesione. Sul resto, invece, ogni paese continua ad andare in ordine sparso seguendo gli impulsi di elettorati e governi nazionali oppure preferenze geopolitiche e strategiche proprie come accaduto nell’approvvigionamento dei vaccini.
Su alcuni temi come la gestione dei flussi migratori, servirebbe un maggior coordinamento da parte di Bruxelles. Ma è politicamente difficile arrivare sull’immigrazione ad una soluzione condivisa. Ci sono poi le ragioni geografiche che spingono i paesi del nord a chiudersi invece di collaborare di più con i paesi mediterranei. Gran parte del carico dei migranti è lasciata ad accordi informali e volontari tra Italia, Francia, Germania e Spagna. Senza contare che la materia è delicata perché può innescare reazioni sociali e politiche potenti. Nessuno vuole rischiare di vincolarsi troppo sui migranti. Sul piano della sanità servirebbe un coordinamento per l’ingresso dai paesi extra-Unione europea fino a che dura l’emergenza Covid e regole condivise, a cui stiamo arrivando, per la mobilità intra-Ue. Difficile fare di più sul resto poiché i sistemi sanitari sono troppo diversi e peculiari tra i vari paesi.
C’è poi la questione dei vaccini. Oltre che nell’acquisto, dove ciascun paese ha seguito le proprie logiche geopolitiche, sono emersi problemi anche nella capacità di fare ricerca condivisa e produrre un vaccino europeo. Nella fase iniziale i principali vaccini erano tutti extra-Ue ad eccezione di un pezzo del siero Pfizer-Biontech. Troppo poco se pensiamo alla grandezza e alla ricchezza dell’Unione Europea. Sono numerose le fragilità e le inefficienze alle quali le istituzioni europee devono porre rimedio al loro interno. C’è un problema di comunicazione in primis: l’Unione Europea va comunicata per ciò che è, ossia dei tavoli su cui di volta in volta si negoziano decisioni tra Stati in determinati settori. Troppa retorica europeista uccide l’Unione Europea perché crea aspettative che non possono nei fatti essere soddisfatte. In Italia in particolare c’è troppo paternalismo, si presenta l’UE come il Re Taumaturgo di Marc Bloch. Niente di più sbagliato, l’Europa è un luogo di scambio che ci rafforza e si rafforza se inteso come tale. Non è lì per fare miracoli o risolvere tutti i problemi dei paesi membri. Essere parte dell’Unione Europea non può significare scaricare ogni problema su Bruxelles.
Per questo bisognerebbe avere una delineazione più precisa delle competenze tra Stati nazionali ed un maggior rispetto del principio di sussidiarietà. Ci sono materie attualmente gestite autonomamente dagli stati membri andrebbero aggiunte alle competenze comunitarie. Ritengo che su grandi infrastrutture comuni, ricerca scientifica e tecnologica legata a settori come digitale, aeronautica e spazio si possa fare di più. E probabilmente anche sul piano della mobilizzazione del capitale finanziario, in altre parole favorendo la creazione di grandi gruppi industriali europei e stimolando investimenti dei privati in strumenti finanziari per far crescere le industrie del continente. Servirebbero istituzioni di matrice europea capaci di fare venture capital per lo sviluppo delle imprese.
L’UE con la sua portata potrebbe garantire sui mercati prestiti alle industrie pubbliche e private se volesse. E’ ricorrente la domanda se si arriverà mai nel vecchio continente alla nascita di una realtà autenticamente coesa tipo gli “Stati Uniti d’Europa”. Francamente ad oggi non se ne vede traccia all’orizzonte. Nessuno vuole o riesce a mettere meno ai trattati per andare verso una costituzione confederale. L’Unione Europea somiglia maggiormente al vecchio Sacro Romano Impero. Può anche continuare a funzionare così nel medio periodo se riesce a fare i passi sopra elencati.
Professor Lorenzo Castellani, docente in Storia delle Istituzioni Politiche all’università Luiss di Roma