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Il Pacifico: teatro di confronto tra Usa e Cina

Con tutti i guai che il mondo ha, non c’era proprio bisogno di andare a Taiwan ad attizzare la brace del conflitto mai sopito con la Cina sull’indipendenza – non riconosciuta – dell’isola Stato. Dopo una breve tregua nelle loro manovre – una prova di forza, in risposta a quella percepita da Pechino come una provocazione statunitense -, le forze armate cinesi conducono da oggi a sabato 13 agosto un ciclo di esercitazioni di artiglieria “a fuoco vero”, cioè con proiettili reali, nelle acque meridionali del Mar Giallo, a nord di Taiwan, di fronte alla Corea del Sud.

E Pechino respinge la richiesta di Taipei di non varcare la “linea mediana” nello Stretto di Taiwan, perché “Taiwan fa parte del territorio cinese e non può esserci una linea mediana” (mai accettata, anche se tradizionalmente rispettata).

Quando, nella notte tra il 2 e 3 agosto, Nancy Pelosi è arrivata a Taipei, divenendo il più alto esponente Usa sul suolo di Taiwan da 25 anni a questa parte, le relazioni tra Stati Uniti e Cina hanno toccato il punto più basso e di maggiore attrito, almeno dalla primavera del 2001 allora, Pechino trattenne un aereo spia americano ed il suo equipaggio dopo una collisione in volo letale con un caccia cinese e un atterraggio d’emergenza.

Per tutta risposta, la Cina ha fatto per più giorni esercitazioni militari senza precedenti in sei aree intorno all’isola Stato: molti missili sono stati sparati a nord-est e a sud-ovest di Taiwan e alcuni sono caduti nelle acque di esclusiva competenza economica giapponese – Tokyo ha vigorosamente protestato -. Le manovre, che simulavano il blocco aereo e navale dell’isola Stato, hanno perturbato il traffico commerciale aereo e marittimo.

La tensione s’è impennata in tutta la Regione e alcuni analisti ritengono che un’invasione cinese sia uno scenario più plausibile ora. Pechino ha anche adottato misure commerciali ostili verso Taiwan, condizionando la produzione di micro-chips di cui l’isola è la maggior esportatrice mondiale.

Pechino considera, non del tutto a torto, l’isola parte del territorio cinese e non ha mai rinunciato alla sua annessione; Taipei pensa a rafforzare le proprie difese costiere, organizza a sua volta esercitazioni e rafforza la protezione da cyber-attacchi e campagne di disinformazione.

Secondo il New York Times, l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia, il rifiuto della Cina d’avere un ruolo di mediazione nella vicenda e il rifiuto della politica delle sanzioni stanno creando i presupposti per un nuovo asse anti-occidentale, completato dall’Iran, ma che, nell’ambito del G20, trova in qualche misura a oggi pure nell’India, nel SudAfrica, nel Brasile e in altri Paesi. Il termine ‘asse’ richiama volutamente l’asse della Seconda Guerra Mondiale, Germania, Italia, Giappone.

Il giornale nota che il presidente russo Vladimir Putin ha compiuto solo tre viaggi fuori dalla Russia quest’anno: uno in Cina a febbraio, prima dell’invasione, e uno in Iran a luglio, a parte una ‘sortita’ in Paesi dell’Asia centrale satelliti dell’ex Urss. Russia, Cina e Iran hanno in comune una visione degli Usa come antagonisti.

Se il Mondo si sta davvero spaccando in due blocchi opposti, le democrazie contro le autocrazie, come dice Biden, Russia, Cina e Iran costituiscono il nucleo del blocco anti-Usa e stanno accentuando la loro collaborazione. Ma la definizione di Biden è fitta di contraddizioni, considerato che, nel blocco delle democrazie, figurano regimi come le monarchie del Golfo o l’Egitto.

Il nuovo asse desta qualche preoccupazione negli analisti statunitensi: se i tre Paesi sfidassero insieme gli Stati Uniti, Washington avrebbe problemi a rispondere in modo adeguato sui tre fronti. La Russia ha già invaso l’Ucraina, la Cina potrebbe attaccare Taiwan e l’Iran spingere avanti il suo programma nucleare, anche se a Vienna si sta negoziando la modifica e il ripristino dell’accordo anti-atomica iraniana concluso nel 2015 e denunciato nel 2017 da Donald Trump.

La speaker della Camera di Washington era giunta a Taiwan nell’ambito di una missione in Asia: una sosta di 12 ore appena. La visita di Pelosi, non incoraggiata dall’Amministrazione statunitense, era stata preceduta, da una telefonata tra i presidenti Xi Jinping e Joe Biden: c’è da sperare che i due abbiano concordato di mantenere reazioni e contro-reazioni in un ambito dimostrativo.

Nei colloqui con la presidente Tsai Ing-wen e parlando al Congresso taiwanese, Pelosi ha ribadito che gli Usa non abbandoneranno mai l’isola alle pretese cinesi. Biden a Xi aveva, però, assicurato che gli Usa, che non hanno formalmente rapporti diplomatici con Taiwan e non la riconoscono come Stato, sono fedeli alla politica di una sola Cina.

Il contesto delle relazioni sino-americane resta turbolento. Molti s’interrogano sull’opportunità e sull’eventuale valore aggiunto del gesto della speaker ultra-ottantenne, vicina al “passo dell’addio” dalla sua posizione. Il sostegno Usa alla democrazia taiwanese non è mai stato in discussione ed è stato più volte reiterato: non c’era bisogno d’uno show del genere, in un momento in cui il Pacifico è teatro di un confronto tra Usa e Cina giocato sull’influenza geo-politica e sulla forza militare, oltre che sull’economia e i commerci.

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