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Gli operatori sanitari: i buoni samaritani del XXI secolo

Nella vita e nella storia ci sono eventi che fanno un po’ da pietra miliare, da spartiacque, tanto da poter individuare due archi di esistenza, distinguendo fra un “prima” e un “dopo”. Sono eventi che rimescolano tutte le carte, che gettano all’aria tante presunte certezze e sicurezze, che lasciano sbigottiti, increduli, smarriti, improvvisamente fragili, deboli, vulnerabili, come un terremoto che rimescola rumori e silenzi della nostra quotidianità. La pandemia COVID è certamente un evento con queste caratteristiche che, pur coinvolgendo ogni cittadino del mondo, si è abbattuto con singolare durezza sul mondo degli operatori sanitari, di cui oggi celebriamo la Giornata Internazionale ad essi dedicata. Se mi si consente un accostamento di carattere mediatico, come la tragedia delle Torri Gemelle accese i riflettori sul lavoro, i sacrifici, i costi in termini di vite umane del corpo dei Vigili del Fuoco, altrettanto – su scala enormemente più vasta – accade oggi sulla categoria di medici, paramedici, personale sanitario con il soccorso a chi viene aggredito da questo terribile quanto invisibile nemico.

Un antico adagio ci ricorda che “non tutto il male vien per nuocere”: facciamone tesoro, anche oggi, e magari scopriremo che fra le dolorosissime pieghe del dolore, della paura, della tristezza, c’è spazio per trovare o ritrovare speranza, coraggio, solidarietà, fiducia. Sono innumerevoli gli atti di carichi di virtù umane scritti in questi mesi dagli “addetti” alla sanità. O forse, sarebbe meglio dire, agli “addetti” alla cura dei malati, dei sofferenti, delle donne e uomini che hanno cercato e cercano una mano che li possa soccorrere. La medicina ha ritrovato il suo volto, è tornata alle sue origini, ha riscoperto il senso della sua esistenza, quale disciplina votata alla difesa della vita, della salute, del contrasto alla malattia … in una parola, ha rinnovato il ruolo che le è proprio di servizio all’uomo nella sua totalità.

Già, perché non dovremo mai dimenticare che infinite volte sono stati proprio gli “operatori sanitari” ad accompagnare i nostri cari ammalati in quell’ultimo struggente passo che divide la vita dalla morte. Con i miei occhi ho visto colleghi del variegato mondo sanitario recitare una preghiera, stringere una mano, fare una carezza, sussurrare all’orecchio del proprio malato parole di conforto, consolazione, speranza. Fra una flebo da cambiare e un ventilatore da riprogrammare, un segno della croce è stata l’invocazione d’aiuto che tante volte ci ha accompagnato in questa lotta per la vita. Una nota canzone di Fabrizio De Andrè recita “quando si muore, si muore soli”: posso dare testimonianza che i nostri operatori sanitari non hanno mai tralasciato nulla per far sì che ciò non accadesse mai.

Tanti, tantissimi nostri cari – soli nell’isolamento delle misure anti-contagio – non sono morti soli, perché c’è stato, e c’è, un “prossimo” che – in una parola – li ha amati fino alla fine. Ritengo che siano questi gli eventi e i sentimenti che fanno la cifra della “nobiltà” della medicina e di coloro che hanno la fortuna di esserne attori concreti. Personalmente, sono amareggiato (e nauseato!) quando sento coniugare il lavoro di medici ed infermieri ad azioni di manipolazione e soppressione della vita: eutanasia, aborto, suicidio assistito sono l’antitesi dell’ars medica. E sono anche l’antitesi della vera solidarietà umana che, proprio in questi mesi, abbiamo avuto l’occasione di riscoprire. Siamo costretti, purtroppo, a non vederci più in volto.

La mascherina nasconde il viso … ma non gli occhi. E possiamo continuare a credere che gli occhi sono la finestra dell’anima. Concentrarsi sullo sguardo vuole anche dire: ritorniamo all’essenziale, perché dietro ogni sguardo c’è una varietà di sentimenti ed emozioni che attendono un aiuto, una risposta. C’è la paura di chi implora aiuto, c’è la disperazione di chi si sente abbandonato, c’è la fragilità di chi si affida, c’è il grido della speranza e c’è anche la forza di chi si carica della sofferenza altrui come il buon samaritano nel XXI secolo. Senza dimenticare che molto spesso le persone nella propria vita, fingono felicità e mostrano il sorriso, ma dimenticano gli occhi, che restano vuoti e che la mascherina non coprono. Impariamo a guardarci negli occhi!

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