Le segreterie dei partiti della maggioranza Draghi, come gli amanti del tavolo verde, hanno fatto il loro gioco. Al termine del classico giro di ruota, condito da tensioni e fibrillazioni, i soci per forza di Palazzo Chigi hanno incassato la vincita, frutto delle fiches gettate sui numeri. La vincita, sia chiaro, è stata assegnata seguendo le prescrizioni del manuale Cencelli. Ognuno ottiene per quanto pesa in parlamento. Quando ci sono di mezzo le poltrone, nel caso specifico vice ministri e sottosegretari, la politica sa sempre come regolarsi. Solo nelle questioni dirimenti per la qualità della vita degli italiani gli accordi sono più complessi, seguendo strane linee.
Per i bisogni reali del Paese non esiste un equivalente manuale Cencelli, in quel caso a comandare sono solo gli interessi di bottega, in chiave elettorale. Ma questa è la politica. Difficile pensare ad un cambiamento, nonostante l’appello del capo dello Stato, Sergio Mattarella. L’accordo di governo, di fatto, rappresenta un patto di mutua assistenza fra partiti in crisi, consapevole della necessità di un passaggio catartico. Resta da capire sino a quando andrà avanti. La politica abdica sempre per un tempo limitato.
Entrando nel dettaglio delle nomine varate dal Consiglio dei ministri, il quadro complessivo parla di venti uomini e 19 donne, tra viceministri e sottosegretari. La sorpresa, forse l’unica, è la nomina del capo della Polizia, Franco Gabrielli, che ha avuto la delega per la sicurezza della Repubblica, dunque ai servizi segreti. E poi c’è la scomposizione secondo i partiti. Undici per i 5 Stelle, nove alla Lega, sei al Pd, a Italia Viva vanno 2 “caselle”. Per Leu torna al Mef Maria Cecilia Guerra, mentre Forza Italia incassa 5 sottosegretari e un viceministro. Dei “piccoli” della coalizione di centrodestra non c’è neanche un esponente di “Cambiamo”, il movimento fondato da Giovanni Toti. E’ dentro il team di “Super Mario”, invece, “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi con il sottosegretario alla Salute, Andrea Costa. I “piccoli” del centrosinistra, invece, sono rappresentati dall’ex Dc Bruno Tabacci, leader di Centro democratico, che come sottosegretario ottiene il coordinamento della politica economica, mentre “Più Europa” incassa gli Esteri con il suo segretario nazionale, Benedetto Della Vedova. Le quote, insomma, sono state rispettate.
Già, ma si tratta davvero di un buon segnale per il Paese? E l’aver rispettato la liturgia della spartizione, in nome della rappresentanza parlamentare, è sinonimo di Democrazia compiuta? Probabilmente sì, non avendo alternativa in una fase complessa come quella attuale. Ma se c’è una lezione chiara, emersa da questa fase di bassa marea della politica, è che il sistema italiano è un po’ arrugginito o, quantomeno, invecchiato. Da qui la chiara necessità di modificare le regole del gioco, intervenendo anche sulla Costituzione. Renzi, a suo modo, aveva provato a farlo.
Oggi servirebbe un tentativo più serio e chiaro, in grado di depotenziare gli effetti del manuale Cencelli, togliendo alle segreterie dei partiti il potere di porre veti. In pratica una democrazia realmente matura avrebbe bisogno dell’elezione diretta del premier, in modo da far venir meno i giochi di potere. Ma se per questa malattia la cura è nota, non c’è medico disposto a scrivere la ricetta. Il gioco delle nomine resta pur sempre un bel gioco, ancorché esercizio di potere, per i partiti. Per loro non per noi…