Da un abuso può nascere un diritto? Intuitivamente e secondo il buon senso comune tutti direbbero di no. Come può un atto abusivo, commesso in violazione della legge, dare fondamento al diritto di ottenere quello che era vietato? Se è così, l’occupazione abusiva di un immobile non può costituire il diritto a goderne ed abitarlo, perpetuando l’illegalità. Tanto più se l’abuso, e la situazione illegittima che ne deriva, colpiscono la libera disponibilità della proprietà, che la Costituzione garantisce, e che può essere sottoposta a ragionevoli limiti per assicurarne la funzione sociale solo se previsti dalla legge e non per effetto dell’arbitrio di privati.
Eppure avere una abitazione risponde non solamente ad un sentimento di umanità, ma anche ad un diritto: ne va dell’esistenza libera e dignitosa, per sé e per la propria famiglia, che deve essere assicurata a tutti. La Corte di Cassazione ha affermato che l’abitazione è uno strumento indispensabile per consentire la concreta attuazione dei diritti fondamentali: la sua mancanza rappresenta un ostacolo allo sviluppo della persona, che pure la Costituzione garantisce. E su questa considerazione la stessa Corte, giudicando della occupazione abusiva commessa da una donna in stato di gravidanza a rischio, affetta da HIV, ha ritenuto che la pena che il codice penale prevede per l’abusiva occupazione di edifici, non può essere applicata se il fatto è stato commesso in stato di necessità, cioè per evitare un danno attuale e grave alla persona, non altrimenti evitabile, e sempre che vi sia proporzione tra il fatto commesso e il pericolo da evitare.
E’ questa la situazione delle centinaia di occupanti sgomberati nei giorni scorsi da un palazzo di Roma, con una operazione di polizia, che pur suscitando molte discussioni, ha fatto affiorare anche altri aspetti di illegittimità organizzata? Questo episodio mostra come un problema per lungo tempo non affrontato diviene una questione di ordine pubblico, con il rischio che una occupazione abusiva tollerata per anni, sia percepita come acquisizione di un buon diritto.
Il fondamento del diritto all’abitazione non risiede nell’essere stato “occupante abusivo”, quasi come appartenenza ad una categoria protetta e privilegiata rispetto a chi, pure in una situazione di bisogno, non ha commesso analoga illegalità. Il diritto all’abitazione non si fonda su di un abuso da legalizzare, ma sull’esigenza di far sì che ogni persona ed ogni nucleo familiare possa avere la disponibilità di una abitazione che accolga e nella quale svolgere la propria vita privata e familiare.
C’è, quindi, da chiedersi se non occorra mutare prospettiva, ponendo al centro dell’attenzione, e delle iniziative politiche, il bisogno abitativo, valutando come possa essere soddisfatto in particolare da chi ha limitate risorse economiche e da chi si trova in grave situazione di debolezza e difficoltà. Questo significa uscire dalle ripetute, ricorrenti e prevedibili emergenze, che si manifestano nel circuito che va dalla occupazione abusiva a lungo tollerata, quasi come strumento per differire un problema, sino allo sgombero con connessa e occasionale allocazione abitativa degli occupanti. Ai non pochi problemi umani che ne derivano, si aggiunge il dispendio di energie e risorse economiche che potrebbero essere utilizzate in maniera più efficace in un quadro generale, che imposti e realizzi modelli di edilizia sociale e pubblica, nuova o di recupero di immobili esistenti. A parità di spesa, tenuto conto delle risorse impegnate nelle emergenze, ne trarrebbe vantaggio lo sviluppo di un’economia trasparente, la tranquillità di chi legittimamente ha diritto ad una abitazione, e non da ultimo la coesione sociale.
Ci si può attendere che i rappresentanti delle istituzioni, sia statali che regionali e locali, si astengano dalle polemiche su chi sia responsabile in ogni caso di non risolta emergenza, e convergano invece in una leale cooperazione per risolvere in maniera coordinata e sistematica i problemi esistenti?