La nuova emergenza sull’Appennino squassato dal sisma

credito: Stefano Carofei

A otto anni dal terremoto il cratere sismico del centro Italia è ancora lontano dalla normalità. Non parliamo ovviamente della vita com’era prima di quella scossa di magnitudo 6 che uccise 299 persone, che non potrà mai più tornare, ma di una quotidianità finalmente libera dall’emergenza. Quella condizione è ancora lontana. Ma oggi, 2024, una nuova emergenza si è affacciata sull’Appennino squassato dal sisma: quella idrica. 

Così come in tante altre zone d’Italia, la lunga estate di temperature record e bassissima piovosità ha comportato gravi problemi anche nell’area colpita dal sisma. Dove già la condizione di partenza era svantaggiata: la letteratura scientifica ha più volte evidenziato come numerose sorgenti e captazioni idriche abbiano subito importanti trasformazioni proprio a causa della sequenza sismica del 2016, con la portata che si è spesso ridotta e, in alcuni casi, è addirittura scomparsa. Si sta depauperando in modo grave la risorsa idrica del nostro serbatoio naturale: quello dei monti Sibillini, dove la neve è sempre più scarsa in inverno e la pioggia sempre più rara in estate. A ciò si aggiunge un altro tema, ben noto anche in altre regioni italiane: la fatiscenza della rete idrica, con perdite di rete inaccettabili in un Paese membro del G7.

A mio parere, le tante risorse di cui gode la ricostruzione (molte delle quali utilizzate in maniera poco adeguata) si sarebbero potute destinare anche al ripristino funzionale della rete acquedottistica. L’idrogeologia non è una scienza causale e temporanea ma sarà sempre di più oggetto di interesse e di attenzione. Il faro che si è acceso sul centro Italia grazie al lavoro della struttura commissariale e delle grandi risorse stanziate a livello nazionale, costituiscono un’importante occasione per mettere in sicurezza il territorio – e chi lo abita – a livello idrico. Non sprechiamola.

Quanto alla ricostruzione vera e propria, segnaliamo che il costo delle abitazioni sta raggiungendo i circa 3500 euro al metro quadro. Si tratta di un’enormità: neanche al centro di Roma o di Milano si raggiungono prezzi così elevati. Per dare un’idea, parliamo di aree in cui il prezzo di mercato degli edifici si aggira intorno ai 1000 euro al metro quadro. Un ulteriore elemento sul quale riflettere è quello delle Sae (Soluzioni abitative di emergenza) che sono servite per provvedere, durante l’emergenza, al “ricovero” degli sfollati, qualora non avessero trovato altre sistemazioni o non fossero stati dislocati negli alberghi lungo la costa (ancora oggi si contano diverse centinaia di persone in tale situazione). Secondo la legge 189 del 2016 le Sae, una volta completata la ricostruzione privata, dovranno essere rimosse con ripristino dei luoghi di origine.

Sappiamo però che, per realizzarle, il territorio è stato sottoposto a sbancamenti, terrapieni, bonifiche e urbanizzazioni come a Bolognola, Visso, Castelsantangelo sul Nera. Per non vanificare tutto questo lavoro sarebbe importante ragionare su un impiego di questi luoghi per aumentarne la ricettività turistica (o universitaria, nel caso di Camerino). Non dimentichiamo che il territorio appenninico è un ecosistema delicato: lo abbiamo trasformato, ma non per vedere ricostruiti borghi come presepi semi-disabitati. Ci auguriamo invece che si lavori quotidianamente per restituire questi paesi alla gente.