Quella della Corte Costituzionale è una sentenza choc che apre alla cultura della morte, scegliendo la via più breve per eliminare una sofferenza che esiste realmente. Ma non può essere questa la soluzione. La sofferenza, la malattia e la morte sono tappe che, purtroppo, sono presenti nelle nostre vite. L'importante, però, è che siano vissute all'interno di relazioni, volendosi bene, sostenendosi, con al proprio fianco uno Stato che dia ausili e sostegno economico necessari affinché le famiglie possano dedicarsi a questa fase terminale di un loro caro. E invece, i giudici emettono una sentenza che è paragonabile a un vecchio pensiero di morte, che elimina chi fa fatica; questo è molto pericoloso perché, tra l'altro, apre la strada a una mentalità e una cultura che tendono a mettere da parte il diverso perché è impegnativo.
E' fondamentale che lo Stato aiuti tutte quelle famiglie che vivono al loro interno situazioni di questo tipo, sia fornendo tutto il sostegno necessario, sia creando delle corsie preferenziali. Noi come Comunità Papa Giovanni XXIII continueremo a stare al fianco di queste persone come abbiano sempre fatto, a volte accogliendole nelle nostre case anche in tenera età e vivendo al loro fianco anche per 30 o 40 anni. Noi ci dedichiamo alla vita e non alla morte. Continueremo a fare questo. Siamo molto contenti di quanti sceglieranno di fare obiezione di coscienza e speriamo che la politica almeno garantisca questa libertà fondamentale.
Fino ad oggi il nostro Parlamento ha dormito, delegando così una propria responsabilità. Spero che tutti i parlamentari di buona volontà, che hanno a cuore il bene di ogni persona e della vita, abbiano il coraggio di legiferare, o perlomeno di modificare radicalmente questa sentenza per dire sì – ma un sì pieno e sincero – alla vita. Il concetto che viene ribadito in questi giorni da quanti sono a favore del suicidio assistito e dell'eutanasia è che la persona deve autodeterminarsi ed essere libera di scegliere quando morire. Noi diciamo e sosteniamo che la libertà non è fare quello che si vuole, ma fare il bene, aiutare la vita e sostenerla anche nella sofferenza e nella malattia – senza accanimento terapeutico – fino a quando il buon Dio decide di chiamare a sé quella creatura.