Esiste un rapporto diretto tra la decisione di milioni di persone di emigrare e i cambiamenti climatici. Da anni le Nazioni Unite ribadiscono che molti “migranti” non sono rifugiati o migranti “economici”: sono “migranti ambientali”, uomini, donne e bambini costretti a lasciare la propria casa, il proprio Paese perché il territorio non è più vivibile.
Pochi giorni fa, a tornare su questo argomento è stata Amy Pope, Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, IOM. A Ginevra, durante i lavori del Summit del Forum Globale sulla Migrazione e lo Sviluppo (GFMD) Fourteenth GFMD Summit – Geneva | Global Forum on Migration and Development la Pope ha ribadito che esistono prove evidenti che a causa del cambiamento climatico i disastri stanno aumentando. Ma questi sono una delle principali cause di nuovi sfollamenti a livello globale. Gli ultimi dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre confermano che, nel 2022, oltre 32 milioni di persone sono state costrette a “migrare” senza varcare le frontiere (sfollati interni) a causa dei cambiamenti climatici (quale che sia l’origine, naturale o antropica). Un numero senza precedenti. “I conflitti sono stati a lungo la principale causa di sfollamenti interni prolungati, ma negli ultimi anni i disastri hanno causato un numero maggiore di nuovi sfollamenti. Dobbiamo agire ora per evitare che aumentino”, ha dichiarato la Pope. Se da un lato “è incoraggiante vedere come il GFMD riconosca e sottolinei il ruolo fondamentale svolto dai migranti, dalle loro comunità, dalle diaspore e dai giovani nella progettazione e nell’attuazione di soluzioni durature per le sfide globali”, dall’altro è altrettanto importante non dimenticare che esistono ancora molti problemi legati alla gestione delle “migrazioni ambientali”. Basti pensare che, ancora oggi, in molti Paesi non è riconosciuta la figura di “migrante ambientale”. IOM Director General’s Message on the Launch of IOM’s Global Appeal 2024 | International Organization for Migration
Questo è stato uno dei temi centrali degli incontri del GFMD che ha visto la partecipazione di oltre 1.200 delegati, tra cui associazioni, governi locali e regionali, giovani e rappresentanti delle Nazioni Unite. Sei i temi principali del Summit: impatto del cambiamento climatico sulla mobilità umana; diritti umani e migrazione; diaspora; migrazione di manodopera; migliorare la percezione pubblica della migrazione e la governance per la gestione della migrazione. La collaborazione tra IOM e GFMD va avanti dal 2007. Al summit che si è appena concluso, l’IOM ha partecipato a quasi tutte le “tavole rotonde” e ha gestito o cogestito quattro grandi eventi collaterali. Una conferma – se mai ce ne fosse bisogno – dell’impegno dell’IOM per i migranti in tutto il mondo.
Nonostante i numerosi accordi internazionali che prevedono un rapporto diretto tra cambiamento climatico e mobilità umana, molti Paesi appaiono ancora riluttanti di fronte all’idea che cambiamenti climatici, disastri e emergenze ambientali possano essere la causa delle migrazioni. Farlo renderebbe imperativo rivedere i modelli di mobilità umana. L’IOM aveva affrontato questo problema già nel 2022. Lo aveva fatto durante i lavori dell’IMRF a New York (al quale abbiamo partecipato anche noi, ndr). Quell’anno, un rapporto prodotto dall’IOM, People on the Move in a Changing Climate, aveva sottolineato il nesso che esiste tra mobilità umana e cambiamento climatico analizzandolo sotto una prospettiva politica. Lo studio ha cercato di suggerire ai responsabili politici una serie di misure pratiche basate sui tre obiettivi strategici individuati nella Strategia istituzionale dell’OIM su migrazione, ambiente e cambiamenti climatici 2021-2030. Purtroppo, negli ultimi anni, la maggior parte dei governi non ha fatto nulla di tutto questo. Il fenomeno migranti spesso viene presentato come un “problema”. E come se non bastasse, da risolvere in base a scelte “politiche” e non “umane”. Sembrano aver dimenticato gli artt.13 e 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948. Microsoft Word – itn.doc (ohchr.org) Oggi, in molti Paesi i flussi migratori non vengono affrontati come un fenomeno geopolitico importante che impone analisi attente e soluzioni condivise, ma come un’“emergenza”. Ma le migrazioni non sono un’emergenza. Sono una risposta all’emergenza. Un’emergenza spesso derivante dai cambiamenti climatici.
Lo sforzo dell’IOM è senza precedenti: “Faremo in modo che la migrazione funzioni per tutti. È davvero parte della soluzione a molte delle sfide che affrontiamo oggi”, ha detto Pope. “Le migrazioni irregolari e forzate hanno raggiunto livelli senza precedenti e le sfide che dobbiamo affrontare sono sempre più complesse”. “Appare evidente in modo schiacciante che la migrazione, se ben gestita, può fornire un importante contributo alla prosperità e al progresso globale”, “Possiamo e dobbiamo fare meglio”.
Per “fare meglio”, secondo l’IOM, basterebbero 7,9 miliardi di dollari. Secondo l’IOM, per aiutare 140 milioni di persone inclusi gli sfollati interni e le comunità locali che li ospitano servirebbero 3,4 miliardi di dollari. Per ridurre il numero degli sfollati, anche grazie alla riduzione dei rischi e dell’impatto dei cambiamenti climatici ne basterebbero 2,7 miliardi di dollari e 1,6 per facilitare percorsi regolari di migrazione. Meno di 8 miliardi di dollari. Una somma che ad alcuni potrà sembrare enorme ma che, se confrontata con altre spese, appare ridicola. Basti pensare a quanto spendono per armi e armamenti molti Paesi. Secondo il SIPRI, nel 2022, la spesa in armi e armamenti dei primi quindici Paesi al mondo ha superato i 1.800 miliardi di dollari (dei quali quasi 877 miliardi spesi dagli USA, 292 dalla Cina, 86 dalla Russia, 81 dall’India e poco meno dall’Arabia Saudita. E oltre cinquanta da Regno Unito, Francia e Germania. Ciascuno).
Basterebbe una briciola della montagna di soldi destinati alla produzione di morte e distruzione per gestire in modo funzionale le migrazioni. Anche quelle ambientali. Per risolvere quello che, per molti governi, è una continua emergenza. Dimenticando che quando un’emergenza dura così a lungo (di migranti ambientali si parla ormai da molti anni, di “emergenza migranti” da decenni) questa non è più un’ “emergenza”: è un fenomeno naturale. E per gestirlo servono “regole”. Regole, leggi, norme che nessun Paese, fino ad ora, ha voluto scrivere. Ci si è limitati a fingere di non vedere che tra qualche anno la maggior parte dei migranti (sia interni che esterni) saranno migranti ambientali.